Urbanistica

La crescita debole delle città. Solo la Tav ha prodotto «rete»

di Giorgio Santilli

Le città e le relazioni tra città sono diventate il motore della crescita nel mondo. Nella sfida globale fra sistemi economici urbani, i centri italiani scontano limiti e penalizzazioni nazionali che contribuiscono a frenarne lo sviluppo: un minor peso e una minore efficienza dei servizi (e addirittura si punta a nuovi vincoli come le chiusure domenicali e le pubblicizzazioni forzate); infrastrutture deboli dentro e tra le aree urbane (con l'unica eccezione qualificante dei corridoi dell'Alta velocità); sistemi di mobilità su scala metropolitana inefficienti e poco aperti alle innovazioni (come dimostrano i persistenti conflitti taxi-Ncc anche nell'era di Uber); investimenti pubblici rimasti bloccati anche per un forte taglio delle risorse dovuto alle politiche di austerità (che hanno pagato soprattutto i comuni e solo ora, dopo un decennio, si stanno superando); l'assenza di una cultura della pianificazione (solo 5 città metropolitane su 14 hanno adottato piani strategici); una dinamica demografica inadeguata soprattutto per la mancanza di un modello efficace di accoglienza di immigrazione qualificata; trasformazioni immobiliari penalizzate da fattori fiscali e normativo-urbanistici di lungo periodo e da contingenze estranee a un efficace stimolo del mercato (che sarà inondato dall'accelerazione delle dismissioni pubbliche e dagli immobili, stimati in 260mila per quest'anno e 400mila nel quinquennio, provenienti dall'ondata delle aste giudiziarie); una produttività poco dinamica (resta un vantaggio del 15% rispetto al dato nazionale senza però che questa differenza cresca come sta accadendo in Francia, Spagna e Regno Unito); sistemi salariali che «riescono in parte ad attrarre personale qualificato, ma aggiungono o premiano poco il talento individuale».

Un quadro che fotografa un «governo debole delle economie urbane», su cui si concentra il Quarto Rapporto sulle città di Urban@it, Centro nazionale di studi per le politiche urbane. Se il lavoro dei primi tre anni di Urban@it ha registrato «una evidenza empirica sulla distanza tra le città e le politiche che agiscono su di essa», a partire dall'assenza ormai da 15 anni in Italia di una politica nazionale per le città, in questo quarto lavoro si afferma, fra luci e ombre del dopo-crisi, il tema della rete di economie urbane come fattore fondamentale di sviluppo dell'economia nazionale. Non sono in discussione gli elementi che, nel mondo e in Italia, costituiscono il vantaggio competitivo e il motore della crescita delle economie urbane. «Sono sempre più rilevanti - ricorda il Rapporto - le tre fonti delle economie urbane di agglomerazione: il matching, cioè la relazione fra la domanda e l'offerta di lavoro, in particolare qualificato; lo sharing, cioè la condivisione di fattori produttivi come le infrastrutture con rilevanti economie di scala e maggiore effcienza; il learning, cioè i processi di apprendimento reciproco fra le persone che vivono e lavorano in stato di prossimità». A queste tendenze non fa eccezione l'Italia, dove i sistemi locali del lavoro urbani realizzano circa metà del valore aggiunto dell'industria e dei servizi di mercato non finanziari, con i primi cinque comuni (Milano, Roma, Torino, Genova e Napoli) che fanno il 20%. «Tuttavia il contributo delle grandi agglomerazioni urbane all'economia nazionale è inferiore rispetto agli altri grandi Paesi avanzati» e a pesare, oltre ai limiti già ricordati, è la debolezza delle reti urbane che nasconde, tra l'altro, un nuovo dualismo Nord-Sud.

«La qualità delle aree urbane è un fondamentale fattore per il rilancio dell'economia italiana. Il nostro Paese deve poter contare su una rete di città competitive su tutto il territorio, da Nord a Sud, e non solo di avere qualche eccezione virtuosa. Essa richiede dunque che le politiche urbane non siano più concepite come questioni locali, ma che assumano la rilevanza di una grande politica nazionale, di lungo periodo e attenta agli equilibri territoriali». Un tema decisivo per il futuro del Paese, eppure non facile da far passare nell'epoca delle nuove rivendicazioni di autonomia regionalista (non metropolitana) del Nord.Resta una questione meridionale nelle politiche di sviluppo. «I sistemi urbani del Sud (e per molti versi del Centro-Sud) – afferma il Rapporto – appaiono molto più isolati, scarsamente collegati fra loro; molto meno in grado di scambiare idee, servizi, persone e attività imprenditoriali, e quindi di specializzarsi e giovarsi di maggiori economie di scala e di agglomerazione. I nuovi dati Istat mostrano un'interessante presenza di servizi ad alta intensità di conoscenza nel Mezzogiorno, in particolare nell'area metropolitana napoletana, nel Puglia centro-meridionale, nella Sicilia sud-orientale. Tali sistemi sono però isolati tra loro. Il punto è di grande rilevanza: alla base delle disparità territoriali italiane vi è la circostanza che mentre il Nord esiste come area territoriale in larga misura funzionalmente ed economicamente integrata, il Sud non esiste». Le infrastrutture restano la prima, essenziale risposta, proprio per la capacità di fare rete (a dispetto delle analisi costi-benefici svolte su singoli tratti). E infatti, ricorda il Rapporto, l'integrazione territoriale, dentro le città e fra le città, «non è solo frutto della geografia ma anche e soprattutto dell'azione pubblica per realizzare infrastrutture e servizi di connessione». Si rimarcano «gli effetti positivi determinati dal progetto dell'Alta velocità ferroviaria, con l'integrazione lungo gli assi Torino-Brescia (in estensione verso il Veneto, se i progetti verranno sbloccati, ndr) e Milano-Salerno, che oggi beneficiano di condizioni di accessibilità con pochi paragoni al mondo grazie a treni moderni e veloci e con una frequenza costante per tutta la giornata». Proprio la posizione favorevole in cui si trova Napoli, che ha agganciato Roma e il Nord grazie alla rete dell'Alta velocità con tempi di spostamento ai minimi storici e frequenze dei servizi altissime, conferma – se confrontata con l'assenza di collegamenti efficienti verso Sud – che la correlazione strettissima fra infrastrutture e sviluppo di medio-lungo termine spacca in due l'Italia.

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