Appalti

Infrastrutture, Assonime: investimenti crollati del 38% dal 2007 . Sbagliato ridiscutere i progetti

di Mauro Salerno

Negli anni della crisi, dal 2007 al 2018, gli investimenti pubblici sono crollati del 38%, scendendo da 47 a 33 miliardi. Questa flessione ha pesato soprattutto sul settore delle infrastrutture, diventate un'«emergenza nazionale» con un impatto negativo sul Pil valutato in un calo dello 0,4% all'anno.

Sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto Assonime sulla «Politica delle infrastrutture» presentato ieri a Roma. Tra le criticità eviMauro salernodenziate dal rapporto, coordinato da Gaetano Maccaferri, anche il peso dei debiti commerciali della Pa valutati ancora in 50 miliardi e la scarsa qualità della progettazione. Tra le proposte segnalate da Maccaferri, l'invito a perseguire l'obiettivo della qualificazione delle stazioni appaltanti «previsto da nuovo codice ma ancora inattuato dopo tre anni» e a intervenire sull'Anac separando le funzioni di prevenzione della corruzione da quelle di regolazione del mercato degli appalti. Un passaggio è stato dedicato anche al contenzioso. Obiettivo: limitarlo applicando con severità le norme sulle liti temerarie e rafforzando gli strumenti di accordo stragiudiziale (come l'accordo bonario o il collegio consultivo tecnico) «previsti, ma regolati in modo troppo stringente dal codice degli appalti».

Sono diversi i motivi per cui, secondo il rapporto, si rischia poi un impatto negativo sulle prospettive di crescita, ridiscutendo i progetti in corso come sta accadendo sulla Tav. «Interrompere le opere già in via di realizzazione e pensare di sostituirle con nuovi progetti di rilievo - si legge - comporta una riduzione immediata della produzione, che solo dopo anni, come visto, produrrà un impatto sull'economia; cambiare idea rispetto a grandi progetti in corso di realizzazione determina una perdita di risorse pubbliche, non solo per le penali che abitualmente sono previste, ma anche perché quanto speso sino a quel momento è destinato a non avere alcuna utilità, restando un'opera incompiuta; bloccare opere in corso senza valide motivazioni alimenta l'impressione di inaffidabilità e instabilità delle scelte pubbliche in Italia e la percezione che si tratti di un Paese ad elevato rischio regolatorio».

Cipolletta: le infrastrutture servono al Paese non ai costruttori
«Il nostro Paese ha bisogno di infrastrutture, il loro rilancio serve al Paese non solo ai costruttori». Così il presidente di Assonime Innocenzo Cipolletta ha introdotto il rapporto. Cipolletta si è detto «contento» per il fatto che il Governo abbia deciso di «mettere il turbo alle infrastrutture», come ha detto il Presidente del consiglio Giuseppe Conte nell'intervista pubblicata ieri dal «Sole 24 Ore». «Non bisogna fare distinzione tra opere grandi e piccole», ha detto Cipolletta. «La Tav per esempio viene messa spesso in contrapposizione con le piccole ferrovie locali, ma farla significa essenzialmente raddoppiare i binari e destinarli ai treni veloci, liberando spazio per i treni locali». Questo significa che «un grosso vantaggio» dalla costruzione dell'opera «ce l'averebbero proprio i pendolari». «C'è bisogno di progetti di lungo termine - ha poi aggiunto Cipolletta -. Le infrastrutture si costruiscono in più anni e hanno bisogno di continuità».

Bucci: giusta l'idea di affidare grandi opere a commissari
Al convegno è intervenuto anche il sindaco di genova e commissario per la ricorstruzione del Ponte Morandi Marco Bucci. Forte della sua esperienza, Bucci ha sposato l'idea di affidare a commissari la realizzazione delle grandi opere bloccate, che potrebbe prendere corpo nel decreto legge sblocca-cantieri cui sta lavorando il Governo. «Non bisogna però puntare sulle scorciatoie - ha detto il sindaco -. Noi a Genova abbiamo chiesto tutti i pareri necessari senza saltare alcun passaggio. Piuttosto stiamo lavorando in parallelo e non in sequenza come prevederebbe il codice: il mio suggerimento per accorciare i tempi è questo». Utile, per Bucci, anche intervenire sui ricorsi «che possono bloccare le opere per anni». L'idea, in questo caso, è quella di «assegnare un tempo massimo al Tar per pronunciarsi». Scaduto questo termine la decisione, sia intervenuta o meno, «deve diventare inappellabile». Nessun commento, invece, sull'esposto alla Corte dei Conti presentato da 56 professionisti sui costi eccessivi della ricostruzione del Ponte.

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