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Per il «no» a misure anti barriere architettoniche su edifici vincolati serve una specifica motivazione

di Agostino Sola

La motivazione con la quale l’Amministrazione neghi l’autorizzazione alla realizzazione di interventi necessari per il superamento delle barriere architettoniche su edifici privati vincolati deve caratterizzarsi per specificità e deve esplicitare le ragioni del pregiudizio al bene tutelato che rendono impossibile l’autorizzazione atteso che l’interesse alla protezione della persona svantaggiata può soccombere di fronte alla tutela del patrimonio artistico soltanto in casi eccezionali. È quanto afferma il Consiglio di Stato, Sezione II, con la sentenza n. 355/2020.

La vicenda
Un Condominio inoltrava apposita domanda di rilascio del titolo idoneo alla realizzazione di opere edilizie indispensabili per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati ai sensi della legge n. 13 del 1989. Tali opere edilizie consistevano nella realizzazione di un impianto di ascensore e un ballatoio in corrispondenza degli smonti dall’impianto. L’istanza era stata debitamente corredata dal progetto completo di documentazione fotografica e di relazione tecnica, nonché dalla documentazione medica attestante l’handicap della condomina che rendeva necessario l’intervento edilizio.
L’immobile, tuttavia, era vincolato ai sensi dell’allora vigente legge n. 1497/1939. La Commissione edilizia comunale integrata esprimeva parere favorevole alla all’installazione dell’ascensore ma contrario alla realizzazione del ballatoio. Parere confermato dalla competente Soprintendenza per i Beni architettonici e ambientali.
Nonostante tale divieto, comunque, il Condominio procedeva alla realizzazione del manufatto e, successivamente, richiedeva il rilascio di autorizzazione edilizia in sanatoria per la realizzazione del ballatoio predetto.
Con determinazione dirigenziale, acquisiti i pareri negativi delle competenti commissioni, si respingevano le richieste del Condominio.
Veniva adito il Tar Napoli per l’annullamento di tale provvedimento e, con motivi aggiunti, dell’ordinanza di demolizione delle opere abusivamente realizzate.
Venivano accolte le doglianze del Condominio per l’illegittima violazione dell’articolo 4 della legge n. 13 del 1989 da parte del Comune. Veniva proposto appello da parte del Comune innanzi al Consiglio di Stato. Anche in tale sede, tuttavia, viene riconosciuta la fondatezza della pretesa del Condominio e, pertanto, l’appello del Comune viene rigettato.

Il bilanciamento di valori tra tutela del patrimonio culturale ed esigenze di eliminazione di barriere architettoniche
La fattispecie, pur complessa, gravita intorno alla questione giuridica del contemperamento tra i diversi interessi coinvolti, ossia il diritto fondamentale alla salute e la tutela dei beni di valenza storico-artistica.
Sul punto è necessario richiamare la già citata legge n. 13/1989, recante ‘Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati’ e che è volta a favorire, in una visione sostanzialistica dei rapporti di convivenza tra consociati (ed in diretta applicazione delle norme costituzionali poste a presidio della dignità della persona e del diritto alla salute), il miglioramento delle condizioni di vita dei soggetti portatori di handicap negli edifici con più piani, ed è costantemente interpretata in senso estensivo anche in favore di persone anziane le quali, pur non essendo portatrici di disabilità vere e proprie, soffrano comunque di disagi fisici e di difficoltà motorie.
La predetta legge, all’articolo 1, infatti, indica espressamente le opere considerate necessarie per favorire il superamento o l’eliminazione di tali barriere (obbligatorie nella costruzione di nuovi edifici e nella ristrutturazione di interi edifici), tra cui, per quanto di interesse, alla lettera d), «l'installazione, nel caso di immobili con più di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradini». I successivi articoli 4 e 5, poi, prevedono che nel caso di immobili soggetti a vincolo, la realizzazione di tali interventi sia autorizzata dalla competente soprintendenza, la quale è tenuta a provvedere entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni. L’autorizzazione può essere negata solo nel caso in cui non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato, previa idonea motivazione con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato. Sulla base di tale normativa, di particolare favore per la rimozione delle barriere architettoniche, la giurisprudenza afferma che, anche nel caso di immobili vincolati, «l'interesse alla protezione della persona svantaggiata può soccombere di fronte alla tutela del patrimonio artistico solo in casi eccezionali», imponendo quindi all’Amministrazione un onere motivazionale particolarmente intenso circa il serio pregiudizio per il bene storico-artistico derivante dall’intervento di eliminazione delle barriere architettoniche (Consiglio di Stato, Sezione VI, 18 ottobre 2017, n. 4824).
Per effetto delle richiamate disposizioni può essere, pertanto, anche ammesso un pregiudizio ad un bene tutelato per il suo particolare valore paesaggistico o storico-artistico, tenuto conto del rilievo sociale che assumono le opere necessarie ad eliminare le barriere architettoniche. Tale pregiudizio, però, non deve essere tale da compromettere in modo rilevante il bene tutelato. La valutazione della rilevanza del pregiudizio spetta alle amministrazioni che esercitano le funzioni di tutela. Tale attività valutativa, però, si connota di una sua peculiarità rispetto alle ordinarie valutazioni compiute nell'esercizio del potere/dovere di tutela, perché, quando l'intervento edilizio è progettato al fine di eliminare le barriere architettoniche, le amministrazioni di tutela possono ritenere possibili anche interventi in grado di arrecare un pregiudizio (purché non sia rilevante) al bene tutelato e consentire, quindi, anche una parziale alterazione di un bene che altrimenti non potrebbe essere alterato.
La legge in questione infatti, in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata, esprime il principio secondo il quale i problemi delle persone affette da una qualche specie di invalidità devono essere assunti dall'intera collettività, e in tal senso ha imposto in via generale che nella costruzione di edifici privati e nella ristrutturazione di quelli preesistenti, le barriere architettoniche siano eliminate indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili, trattandosi comunque di garantire diritti fondamentali (Consiglio di Stato, sentenza n. 4824 del 2017).

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