Amministratori

Né la Pa né il giudice amministrativo possono riqualificare la tipologia di accesso agli atti azionata

di Alessandro V. De Silva Vitolo

La coesistenza di tre diverse specie di accesso agli atti, ciascuna distintamente regolata nei suoi presupposti, induce a ritenere che non esista, nel nostro ordinamento, un unico e generale diritto del privato ad accedere agli atti amministrativi che possa farsi valere a titolo diverso. Esistono invece specifiche situazioni nei rapporti di pubblico all’interno delle quali, al venire in essere di determinati presupposti (diversi in ognuna di esse), il privato assume titolo ad accedere alla documentazione amministrativa, con limiti e modalità diversificate nelle varie ipotesi; di tal che è onere del richiedente individuare quale sia la sua situazione e, pertanto, quale tipologia di accesso azionare, eventualmente in via cumulativa. Una volta effettuata la scelta, è su tale rapporto che si incardina la controversia e lo stesso non può dunque essere riqualificato in sede giudiziaria. È quanto afferma il Tar Toscana con la sentenza 1230/2019.

Il caso
La vicenda trae spunto dal rigetto di un’istanza di accesso a documenti amministrativi ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 emanato dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana – Arpat.
Di là dall’analisi dei motivi di ricorso, è necessario soffermarsi sui principi espressi dal Tar in sede di impugnazione avverso il menzionato diniego atteso che in sede processuale era stato chiesto l’accoglimento della domanda tanto in virtù dell’art. 22, comma 1, lett. b) legge n. 241/1990, quanto a titolo di accesso civico generalizzato e, inoltre, in quanto l’istanza avrebbe avuto ad oggetto informazioni ambientali ai sensi del Dlgs n. 195/2005.
Nel rigettare il ricorso il Collegio ha affermato come la coesistenza di tre diverse specie di accesso agli atti fa sì che qualora il richiedente abbia espressamente optato per un modello è precluso all’Amministrazione qualificare diversamente l’istanza, al fine di individuare la disciplina applicabile; né lo stesso richiedente, una volta effettuata la propria istanza motivata dai presupposti di una specifica forma di accesso, potrà effettuare una conversione della stessa in corso di causa.

La decisione
Il Tar, visti i suesposti motivi, ha, preliminarmente fatto proprie le considerazioni generali contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 2 agosto 2019 n. 5503.
Ebbene, l’accesso ai documenti amministrativi è oggi regolamentato da tre sistemi generali, ognuno caratterizzato da propri limiti e presupposti:
a) il tradizionale accesso documentale (artt. 22 ss. legge n. 241/1990), che consente ai (soli) soggetti portatori di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata» di accedere ai dati incorporati in supporti documentali formati o, comunque, detenuti da soggetti pubblici;
b) l’accesso civico, concesso a ‘chiunque’ per ottenere ‘documenti, informazioni o dati’ di cui sia stata omessa la pubblicazione normativamente imposta (art. 5, comma 1, Dlgs n. 33/2013);
c) l’accesso civico generalizzato, concesso «senza alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva» e, perciò, senza necessità di apposita ‘motivazione’ giustificativa in relazione a ‘dati, informazioni o documenti’ ancorché non assoggettati all’obbligo di pubblicazione (art. 5, comma 2, Dlgs n. 33/2013).
Si tratta di istituti a carattere generale ma ognuno con oggetto diverso, e sono applicabili ognuno a diverse e specifiche fattispecie: ne segue che ognuno di essi opera nel proprio ambito di azione senza assorbimento della fattispecie in un’altra, e senza abrogazione tacita o implicita ad opera della disposizione successiva poiché diverso è l’ambito di applicazione di ciascuno di essi. Ognuno di questi presenta caratteri di specialità rispetto all’altro. Di conseguenza, laddove il richiedente abbia espressamente optato per un modello è precluso all’Amministrazione qualificare diversamente l’istanza, al fine di individuare la disciplina applicabile.
Correlativamente il richiedente, una volta effettuata la propria istanza motivata dai presupposti di una specifica forma di accesso, non potrà effettuare una conversione della stessa in corso di causa. Questa infatti si radica su una specifica richiesta e sulla relativa risposta negativa dell’Amministrazione che concorrono a formare l’oggetto del contendere. Non può quindi ammettersi un mutamento del titolo giuridico dell’accesso in corso di controversia poiché il rapporto tra richiedente ed Amministrazione (o soggetto equiparato) si è formato non attorno ad un generico (asserito) diritto del primo di accedere a una determinata documentazione ma su una richiesta precisamente connotata nei suoi presupposti giuridici e fattuali.
La coesistenza di tre diverse specie di accesso agli atti, ciascuna distintamente regolata nei suoi presupposti, induce a ritenere che non esista, nel nostro ordinamento, un unico e generale diritto del privato ad accedere agli atti amministrativi che possa farsi valere a titolo diverso. Esistono invece specifiche situazioni nei rapporti di pubblico all’interno delle quali, al venire in essere di determinati presupposti (diversi in ognuna di esse), il privato assume titolo ad accedere alla documentazione amministrativa, con limiti e modalità diversificate nelle varie ipotesi. È onere del richiedente individuare quale sia la sua situazione e, pertanto, quale tipologia di accesso azionare, eventualmente in via cumulativa. Una volta effettuata la scelta, è su tale rapporto che si incardina la controversia e lo stesso non può dunque essere riqualificato in sede giudiziaria.

Conclusioni
Secondo il Tar la richiesta del ricorrente, effettuata ai sensi della legge n. 241/1990, non poteva quindi essere (ri)esaminata alla luce del Dlgs n. 33/2013.
Le medesime considerazioni valgono con riferimento alla richiesta di qualificazione dell’istanza di accesso della ricorrente alla stregua di una domanda di informazioni ambientali ex Dlgs n. 195/2005, poiché questa a sua volta costituisce un sottosistema normativo disciplinante una fattispecie specifica di accesso ed operante solo nel proprio ambito.
Nel caso di specie l’Arpat aveva fornito risposta negativa ad un’istanza di accesso formulata ai sensi della legge n. 241/1990 e ove il giudizio si fosse esteso alla verifica della sua fondatezza ai sensi di normative non richiamate nella stessa, e sulle quali quindi la stessa Arpat non ha fornito alcuna risposta (e non doveva farlo), sarebbe stato violato il divieto del Ga di pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati posto dall’articolo 34, comma 2, del codice di rito.

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