Appalti

Danno erariale per la transazione che non considera il valore di mercato delle poste in gioco

di Michele Nico

L'ente pubblico e la società in house non godono di libero arbitrio nella facoltà di transigere al pari di un qualsiasi soggetto privato, ma devono sempre considerare come parametro di riferimento l'equilibrio di bilancio, che impone un'attenta e oculata valutazione delle diverse poste in gioco. Di conseguenza, non possono essere soppesate o comparate in un'equa valutazione transattiva voci «gonfiate» o sovrastimate, dacché il punto di partenza corretto per qualsiasi trattativa non può prescindere dal reale valore di mercato delle prestazioni oggetto di possibile accordo.
Sulla base di questi principi la Corte dei conti, della Lombardia, con la sentenza n. 196/2019 ha condannato per danno erariale alcuni manager di alcune società in house, per aver gestito i rapporti contrattuali con terzi sulla base di una carente e lacunosa attività propositiva e di vigilanza, con il risultato di un significativo depauperamento del patrimonio aziendale.

La vicenda
I magistrati hanno esaminato l'attività di Expo 2015 Spa nel dare corso alla realizzazione della piastra del sito per l'esposizione universale 2015, e, nello specifico, la fornitura di essenze arboree, quale opera complementare affidata all'appaltatore (Ati) dell'opera principale con un atto aggiuntivo del 2013, articolo 57, comma 5, lett. a) del Dlgs 163/2006 (codice dei contratti previgente).
La fornitura aveva per oggetto una peculiare tipologia di piante cosiddetta «di pronto effetto», con l'impiego di una speciale tecnologia agronomica scarsamente utilizzata in Italia. In relazione a questa fornitura, la Procura contabile aveva aperto un'indagine con l'ipotesi di un danno erariale pari a 2.274.206,43 euro, a seguito di una verifica, disposta nel 2015 dalla stessa società, con i criteri metodologici dell'audit amministrativo, economico e finanziario, da cui era emersa la congruità di un importo di gran lunga inferiore al prezzo riconosciuto e liquidato da Expo 2015, nonché un extra margine contrattuale eccessivo e non giustificato a favore dell'Ati.
Stante il difetto di economicità nello scambio negoziale avvenuto, la Corte ha chiamato in giudizio il direttore generale (nonché responsabile unico di procedimento) di Expo 2015 Spa, il professionista che ha curato la progettazione esecutiva propedeutica alle prestazioni complementari (dipendente di un'altra società in house collegata a Expo 2015), nonché il direttore generale di una ulteriore società in house del gruppo, responsabile della gestione dei processi nelle attività di ausilio tecnico a supporto e assistenza nella realizzazione dell'imponente opera pubblica.

L'analisi della corte
L'accusa mossa dai giudici riguardava la carente e lacunosa attività propositiva, istruttoria e di vigilanza di natura manageriale sull'economicità della determinazione del prezzo della fornitura complementare, in danno al patrimonio di Expo 2015.
La difesa dei convenuti ha sostenuto che il prezzo elevato della fornitura avrebbe trovato giustificazione nelle seguenti ragioni:
• assenza di imprese concorrenti che avrebbero potuto portare a un più forte ribasso del prezzo di aggiudicazione della fornitura arborea, stante la procedura d'urgenza seguita dalla società in vista dell'imminente esposizione, nonché l'esito negativo di una pregressa gara per la commessa in questione;
• l'inserimento di questo elevato compenso per la fornitura nel contesto di una più ampia transazione tra l'Ati ed Expo 2015, avente a oggetto diverse poste economiche di considerevole rilevanza.
Nel corso del dibattimento è emerso che quest'ultimo elemento aveva assunto un peso decisivo nella definizione dell'approvvigionamento, per cui nella sentenza si dedica un'ampia parte della disamina a questo argomento.
Non è certamente sindacabile in sede giurisdizionale la scelta dell'ente di addivenire a una transazione, ma è noto che questa decisione deve essere corredata da una corretta valutazione delle poste in gioco.
Quando a transigere è un soggetto pubblico, scrivono i giudici, «i parametri valutativi sono decisamente più ristretti e maggiormente, se non quasi esclusivamente, ancorati a risparmi di spesa (sia gestionali che per contenziosi), a tutela delle casse pubbliche e della collettività che vi contribuisce finanziariamente».

L'errore metodologico
La censura del collegio si appunta sull'errore metodologico commesso dai convenuti nel ritenere «ex post buona e ragionevole» qualsiasi transazione, a prescindere dal reale valore di mercato delle prestazioni, valore che deve sempre essere il punto di partenza corretto di qualsiasi trattativa.
Questa regola procedimentale è stata ignorata nel caso di specie, e ciò ha indotto la Corte a ravvisare nella condotta dei convenuti «colpa grave, inerzia e superficialità» nell'esercizio dei rispettivi compiti manageriali.
Di qui la condanna al risarcimento del danno per violazione delle garanzie di buon andamento e di integrità delle finanze pubbliche, che, per dettato dell'articolo 97 della Costituzione, esprimono l'inderogabile principio di tutela dei diritti dei cittadini e dei contribuenti.

La sentenza della Corte dei conti Lombardia n. 196/2019

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