Appalti

Tpl, i contrasti interpretativi espongono a rischio nullità i licenziamenti disciplinari

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di Luca Vitali

L'allegato A del Rd 148/1931 è d'importanza cruciale per le società pubbliche del servizio di trasporto pubblico locale. Il testo di legge ha mantenuto la sua forza applicativa e specialità nel regolare il rapporto di lavoro degli autoferrotramvieri, anche dopo la Costituzione, le molteplici normative speciali del settore e la generale disciplina dello statuto dei lavoratori.
Senza vaglio critico, il legislatore ha stabilito di mantenere in vigore la norma, quando, nell'aprile 2017, prima aveva abrogato in blocco tutto il testo rinviando alla contrattazione collettiva (Dl 50/2017, articolo 27, comma 12-quinques), salvo poi ripristinarlo nel giugno successivo (Dl 91/2017), abrogando la norma abrogatrice. Un vero corto circuito normativo che, però, comporta conseguenze applicative importanti sulle misure disciplinari, compresi i licenziamenti, da parte delle società pubbliche del Tpl. Infatti a queste società non si applicano le norme del contratto del 1976 del Titolo VIII che contengono le regole disciplinari e le sanzioni per i lavoratori delle società private, mai riportate nei successivi contratti collettivi per le pubbliche, salvo quello del 2000 che, all'articolo 14 (Allegato A), prevede regole solo per l'area operativa dei servizi ausiliari della mobilità. Pertanto la disciplina del Rd n. 148 deve considerarsi vigente e, nonostante anacronistiche previsioni, fonte per le fattispecie disciplinari delle società pubbliche del settore autoferrotranvieri.

L'intervento della Cassazione
Già da tempo, però, la dottrina giuslavoristica ha sostenuto l'incompatibilità della misura sanzionatoria della retrocessione (articolo 44, Allegato A del Rd 148/1931), sia con i principi costituzionali del diritto inviolabile della personalità all' elevazione professionale del lavoratore (articoli 35 e 2), sia con l'articolo 7 dello statuto dei lavoratori che vieta l'applicazione di misure disciplinari definitive (salvo il licenziamento).
Finalmente, sul punto, l'ordinanza della Corte di cassazione 20 maggio 2019 n. 13525 ha rimesso la questione alla Corte costituzionale con un articolata e esaustiva motivazione che la porta, in conclusione di disamina, quasi a preconizzare la pronuncia di incostituzionalità.
Però, se da un lato la pronuncia porterà chiarezza, dall'altro dimostra l' incertezza interpretativa che espone in concreto le aziende a un'alea applicativa intollerabile in caso di giudizio. Ciò soprattutto considerando che l'allegato A del Rd n. 148 regola anche la procedura disciplinare, e in maniera del tutto difforme rispetto all'articolo 7 dello statuto dei lavoratori, consentendo al lavoratore licenziato disciplinarmente di agire in giudizio lamentando, a seconda della convenienza, la mancata applicazione dell'articolo 7 ovvero della procedura speciale di cui agli articoli 53 e seguenti del Rd. La procedura, in caso di licenziamento, prevede un triplo passaggio per cui il lavoratore viene accusato e ha diritto a rendere giustificazioni. Segue la redazione di una relazione scritta a opera di funzionari su incarico del direttore d'esercizio che poi irroga («opina») la sanzione in attesa di nuove giustificazioni del lavoratore e, eventualmente, della sua richiesta di intervento del consiglio di disciplina cui spetta la decisione finale. L'organo, però, non è più nominato in moltissime realtà poiché la giurisprudenza, sulla scorta della privatizzazione del settore (in particolare legge 270/1988, articolo 1, comma 2) riconosceva l'assoggettamento delle procedure disciplinari all'articolo 7 dello statuto dei lavoratori.

Diversa giurisprudenza
Il Consiglio di Stato (parere n. 453/2000) affermando: «In particolare, le sanzioni disciplinate di cui agli articoli 43, 44 e 45 dei R.D. n. 148 del 1931 saranno ora comminabili dai soggetti competenti in base all'ordinamento interno dell'impresa, nel rispetto delle garanzie sancite dalla L. n. 300 del 1970» ha sancito la fine dei consigli di disciplina. Poi le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 460/2005, decisione storica, hanno riconosciuto la generale devoluzione al giudice ordinario a decidere sui rapporti di lavoro, e, affrontando la questione della procedura sanzionatoria prevista dal Rd agli articoli da 53 a 57 ritenevano sostanzialmente abrogato l'articolo 58 e applicabile l'articolo 7 dello statuto dei lavoratori.
Le successive sentenze hanno stabilito la natura di fonte primaria del Rd 148/1931 e la sua specialità, ma, al contempo, il carattere meramente residuale della norma sia quanto a vigenza che specialità (Corte corete costuzionale n. 301/2004, ex multis Cassazione n. 25276/2008). Ed è questa residualità che costituisce il presupposto logico nel giudizio sull'applicabilità o meno della specifica disposizione del Rd n. 148.
Questo giudizio di compatibilità aveva portato plurime pronunce della Corte (Cassazione civile, sezione lavoro, 10 luglio 2012 n. 11543) a ritenere che l'articolo 7 dello statuto dei lavoratori era applicabile anche al settore autoferrotravieri, poiché espressione di principi di civiltà giuridica, la cui efficacia espansiva nell'ordinamento deriva dall'esigenza costituzionale di parità di trattamento (Corte costituzionale n. 427/1989).
Sulla base di questo orientamento, autorevole e consolidato, una moltitudine di imprese pubbliche del Tpl applica l'articolo 7 dello statuto dei lavoratori in fase disciplinare in luogo della complessa procedura del Rd sopra decritta, irrogando la sanzione secondo poteri gestori societari e omettendo le nomine dei consigli di disciplina.
Esistevano, tuttavia, pronunce difformi (Cassazione n. 13804/2015), ma nel 2016 una nuova sentenza a Sezioni Unite (n. 15540/2016), seppure incidentalmente, aveva ribadito il principio secondo cui al rapporto di lavoro in discorso doveva applicarsi il procedimento dell'articolo 7 dello statuto dei lavoratori.
Sennonché, nel 2017 la Corte di cassazione (sentenza n. 13804) ha mostrato l'inizio di un divergente indirizzo interpretativo che riconosce il principio secondo cui i licenziamenti irrogati in assenza di una delle tre fasi dell'articolo 53 del Rd 148/1931 sono affetti da nullità di protezione. La procedura di maggiore tutela, secondo la Corte, va utilizzata in luogo di quella dell'articolo 7 dello statuto dei lavoratori.
Ma, diversamente a come bene argomenta la sentenza a Sezioni unite n. 15540/2016 per affermare la vigenza della speciale disciplina nel caso di licenziamento (articolo 26 del Rd n. 148) la motivazione di questa sentenza divergente non spiega il perché il lavoratore autoferro debba essere maggiormente tutelato rispetto alla generalità degli altri, cioè una ragione, legittima in base all'articolo 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento.

Il Tribunale di Macerata, in una decisione interessante (decreto 2101/2019 del 24 settembre 2o19), ha disatteso l'indirizzo divergente e fatto proprie le motivazioni della sentenza a Sezioni unite del 2016 sopra citata ritenendo valida l'interpretazione costituzionalmente orientata della forza espansiva delle norme dello statuto dei lavoratori, disattendendo l'eccezione di nullità del licenziamento formulata dal lavoratore e fondata sull'utilizzo della procedura dell'articolo 7 dello statuto dei lavoratori in luogo di quella prevista dall'articolo 53 del Rd n. 148.

Conclusioni
In ogni caso, oggi le società pubbliche del settore Tpl devono tenere conto dell'esistenza di un diverso filone interpretativo quando intendono avviare una procedura di licenziamento disciplinare in base all'articolo 7 dello statuto dei lavoratori, optando magari per l'utilizzo della più complessa -ma più tutelante- procedura del Rd n. 148 che, però, postula la reintroduzione dei consigli di disciplina, con le conseguenze organizzative e gestionali del caso. In mancanza di un necessario intervento correttivo da parte del legislatore, è certamente auspicabile un nuovo intervento della Suprema Corte a Sezioni unite che si esprima espressamente sul punto.

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