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Rifiuto di atti d'ufficio per il sindaco che non si occupa dello smaltimento dell'amianto

di Daniela Casciola

Rifiuto di atti d'ufficio per il sindaco pro tempore che non si attiva per far smaltire le lastre di eternit accatastate alla rinfusa sul terreno di un privato. Lo ha confermato la Corte di cassazione, con la sentenza n. 1657, depositata ieri, in linea con i precedenti gradi di giudizio.

La vicenda si incardina sulla decisone della Corte d'appello di Milano che aveva ribadito la responsabilità, affermata in primo grado dal Tribunale di Pavia, in ordine al reato di rifiuto di atti d'ufficio (articolo 328 del codice penale) per il sindaco pro tempore di un Comune. L'uomo, a fronte di reiterate denunce di organi pubblici nonché di privati cittadini, in un arco temporale di alcuni anni (maggio 2010-marzo 2014), aveva omesso di assumere qualunque iniziativa atta a imporre al proprietario dell'area lo smaltimento del materiale di amianto accatastato alla rinfusa e all'aperto su un terreno. Iniziativa, invece, immediatamente assunta dal sindaco a lui subentrato con un'ordinanza contingibile e urgente che aveva risolto il problema ed evitato il pericolo di contaminazione delle aree limitrofe. Contro questa sentenza, il sindaco imputato ha proposto ricorso per cassazione.

La Suprema corte ha confermato quanto deciso nei precedenti gradi di giudizio.
Il reato di rifiuto, esplicito 0 implicito, di un atto d'ufficio, imposto da una delle ragioni espressamente indicate dalla legge (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità), può manifestarsi come reato continuato quando - come si legge nella sentenza - «a fronte di formali sollecitazioni a agire rivolte al pubblico ufficiale e rimaste senta esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui a esplicare i suoi effetti negativi e l'adozione dell'atto dovuto sia suscettibile di farla cessare».
La precisazione dei giudici è, poi, che nella fattispecie considerata, il reato si è consumato ogni volta che l'imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di tutti i solleciti ricevuti che rendevano indifferibile l'adozione dell'atto d'ufficio (nella specie, un'ordinanza contingibile e urgente) imposto da esigenze di protezione sanitaria.

La sentenza della Corte di cassazione n. 1657/2020

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