Appalti

Autostrade/3. Intervento. «Il Mit si concentri sulla revisione delle concessioni piuttosto che sulla revoca»

di Antonio Ortenzi (*)

La situazione delle infrastrutture italiane continua sempre più a creare confusione ed a destare preoccupazione sia tra gli operatori economici che tra gli utenti finali. In più c'è la questione strategica che mira ad un ritorno ad uno statalismo dal sapore stantio nei modi nei quali lo si narra e lo si vorrebbe applicare. I temi sui media sembrano girare tutti attorno a due operatori economici, ovvero concessionari autostradali e sulla diatriba della revoca delle concessioni a questi ultimi. Mentre Toto (Strada dei Parchi) inaugura il primo svincolo antisismico, Atlantia prepara le carte per portare lo stato italiano in tribunale e gli imprenditori si fanno i conti su come poter entrare in maniera conveniente in Alitalia.
La situazione paradossale è che i tecnici del ministero non individuano i presupposti per la revoca delle concessioni e che, se si dovesse verificare, aprirebbe scenari non facili da dirimere.

D'altronde realizzare una struttura statale che gestisca le autostrade non è cosa da poco in quanto la creazione di un'organizzazione almeno alla pari di quelle esistenti, se non migliori, comporterebbe un dispendio di risorse economiche ingente e soprattutto uno spreco di tempo intollerabile per il nostro paese. È vero, lo Stato deve tornare a fare lo Stato, ma non come 30 anni fa. Oggi è tutto cambiato e la velocità con la quale le infrastrutture si evolvono è davvero molto impattante, pertanto un'organizzazione statale snella dovrebbe concentrarsi più sul monitoraggio e controllo che sulla gestione.

Come Osservatorio siamo contrari alla revoca della concessione anche perché ad oggi il Ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli non ha indicato alcuna soluzione alternativa, nello specifico i tempi e le modalità dell'individuazione di un progetto di nazionalizzazione delle grandi vie di comunicazione gestite attualmente da Autostrade, progetto che non può essere improvvisato ma che, al contrario, deve essere contestualizzato all'interno di processi di portfolio management a livello strategico e di program/project management a livello gestionale, con la definizione anche delle competenze e delle risorse che dovranno essere utilizzate.

In buona sostanza è arrivato il momento della ridefinizione dei contratti di concessione non delle revoche, soprattutto quando nel quadro partecipativo si prospetta un partenariato pubblico privato con due operatori economici che son pronti ad investire in Alitalia e lo stesso Toto in un'udienza pubblica ha dichiarato di voler investire 4 miliardi nel porto di Ortona per favorire lo scambio di merci lungo la via della seta.

Eppure il grande incompiuto, cioè il Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50, qualcosa di buono, con la determina Anac che interveniva proprio sulla revisione dei contratti delle concessioni e sulla disciplina dei contratti di partenariato pubblico-privato, definiti all'art. 3, lo ha fatto. Nella determina, in particolare nella II parte della linea guida, si individuavano proprio gli strumenti per favorire non solo il controllo e il monitoraggio economico delle attività del concessionario, ma soprattutto veniva indicata quale direzione intraprendere nel caso di revisione del contratto, causata dalla inadempienza o inefficacia delle clausole contrattuali preesistenti, perché, ad esempio, sono venute meno le modalità che regolavano il rapporto ex ante. Inoltre, Anac insiste in modo puntuale sulla definizione della matrice dei rischi come strumento di controllo, sulla sua corretta analisi ed interpretazione, sul flusso di informazioni per il monitoraggio.

La questione, volendo traguardare un po' più in avanti, è di tipo strategico e deve andare oltre la revoca si o no. In Italia grandi player che sono disposti a investire in una rete infrastrutturale vetusta ce ne sono davvero pochi e ancor meno sono coloro che hanno sviluppato un know how di alto livello utile a prendersi cura delle autostrade con una gestione virtuosa, senza parlare di quelli esteri che, al netto della Cina, nemmeno si avvicinano ad investire nel nostro paese a causa di una tassazione alta e dell'incertezza normativa. Se perdiamo questo patrimonio rischiamo davvero di infliggere un colpo mortale all'innovazione delle infrastrutture le quali, a dispetto della narrazione che se ne fa in questo momento, dovrebbero guardare all'innovazione e alla digitalizzazione. Per fare questo però servono lungimiranza e competenze.

(*) Vice presidente esecutivo Osservatorio infrastrutture Confassociazioni

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