Appalti

Bancarotta Tecnis: arrestati Costanzo e Bosco, società spogliata di quasi 100 milioni

Il procuratore Zuccaro: «È un operazione che evidenzia come imprenditori particolarmente spregiudicati facciano la parte del leone nell'aggiudicarsi appalti pubblici giocando sporco»

di Q. E. T.

Ci sono gli imprenditori Mimmo Costanzo e Concetto Bosco tra i quattro indagati posti agli arresti domiciliari dal Gip di Catania per l'inchiesta «Arcot» sulla bancarotta della Tecnis Spa e di alcune società controllate. Il provvedimento è stato eseguito da militari della Guardia di finanza. Costanzo e Bosco in passato erano stati posti agli arresti domiciliari, dal 22 ottobre 2015 al 22 marzo del 2016, per corruzione e turbativa nell'ambito di due inchieste della Procura di Roma, «Dama nera» e «Dama nera 2», su presunte tangenti all'Anas. La Tecnis è stata in amministrazione giudiziaria dal febbraio 2016 al marzo 2017 perché sequestrata nell'ambito di un'inchiesta antimafia della Dda etnea su indagini dei carabinieri del Ros. Il dissequestro fu motivato con la «venuta meno la pericolosità del bene» che, secondo i giudici, era «stato legalizzato» grazie al lavoro dell'amministrazione giudiziaria e della Procura di Catania.

Gli altri due indagati agli arresti domiciliari sono Orazio Bosco, fratello di Concetto, e Gaspare Di Paola, ritenuto un prestanome degli imprenditori.
Concetto Bosco, 57 anni, è indagato nella qualità di amministratore di fatto del gruppo imprenditoriale Tecnis e amministratore unico di una consortile dello stesso gruppo, la TerniRieti Scarl, utilizzata, secondo l'accusa, per «drenare risorse finanziarie dalla Tecnis». Mimmo Costanzo, 58 anni, per la Procura anche lui amministratore di fatto del gruppo Tecnis, sarebbe con Concetto Bosco «la mente organizzativa del progetto criminale realizzato attraverso la distrazione di flussi monetari convogliati verso società dagli stessi dirette».

Orazio Bosco, 56 anni, fratello di Concetto, è accusato di essere stato amministratore di società, come la Ing. Pavesi & C. Spa e Iniziative turistiche srl, che sarebbero state «tutte beneficiarie ingiustificate di flussi finanziari provenienti da Tecnis». Gaspare Di Paola, 69 anni, è indicato dalla Procura come «consapevolmente prestanome a disposizione di Bosco e Costanzo» e amministratore unico della TerniRieti scarl e dell'Ing. Pavesi & C.

Tecnis Spa, con sede legale a Tremestieri Etneo, è una delle realtà più significative nel panorama nazionale delle imprese di costruzioni generali, di ingegneria e general contracting, attiva nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali, in Italia e all'estero. Il gruppo ha realizzato la quasi totalità del proprio fatturato eseguendo appalti affidati da enti pubblici. All'avvio della procedura di amministrazione straordinaria, il gruppo disponeva di un portafoglio commesse pari a 700 milioni di euro, aveva circa 600 dipendenti ed era gravato da un passivo accertato di quasi 180 milioni di euro, di cui 94 milioni per debiti erariali.

«Le criminose condotte predatorie poste in essere dal management della Tecnis hanno spogliato la società di quasi 100 milioni di euro nel corso di un quadriennio, dal 2011 al 2014, aggravandone il dissesto e rendendola insolvente». È la ricostruzione della Procura di Catania della presunta bancarotta. Al centro dell'inchiesta Arcot, le indagini di militari del nucleo di Polizia economica finanziaria della Guardia di finanza di Catania che si sono avvalse anche di intercettazioni.

«Lo schema fraudolento congegnato e perseguito dai soggetti arrestati», secondo la Procura, si è caratterizzato per «la concessione da parte di Tecnis di consistenti e vorticosi finanziamenti infragruppo non onerosi diretti alle consorziate». Le imprese beneficiarie, a loro volta, «anche con movimentazioni bancari realizzate nella stessa giornata, hanno veicolato le liquidità in questione a favore di società estranee al gruppo di riferimento, ma sempre dirette, anche con la presenza di prestanome, da Concetto Bosco e Mimmo Costanzo».

Per la Procura «il profitto criminale originatosi dalla bancarotta fraudolenta veniva destinato, tra l'altro, alla realizzazione di strutture sportive e ricettive nel settore del turismo golfistico, la cui costruzione, in larga parte, veniva anche affidata alla stessa depredata». Secondo l'accusa, «la compagine criminale, dunque, finanziata da mezzi tratti dalla società poi finita in amministrazione straordinaria, non remunerata per il malcelato finanziamento, realizzava distinti compendi societari senza dover ricorrere all'investimento di proprie risorse».

Gli imprenditori Mimmo Costanzo e Concetto Bosco, ai domiciliari nell'ambito dell'inchiesta Arcot sulla bancarotta di Tecnis, secondo la Procura di Catania «risultano ancora oggi operativi sul mercato attraverso la società Amec srl, costituita alla fine del 2017, con sede a Santa Venerina, che opera nel settore costruzioni generali e delle infrastrutture, con un fatturato annuo dichiarato di 11 milioni di euro». Dalle indagini di militari del nucleo di Polizia economica finanziaria della Guardia di finanza di Catania è emerso che la società, la cui denominazione sarebbe l'acronimo di Ancora Mimmo e Concetto, sarebbe beneficiaria di un affitto d'azienda operato da Cogip infrastrutture srl e risulta aggiudicataria di commesse pubbliche, di recente avrebbe vinto un appalto dell'Anas da 50 milioni di euro.

«La consistente mole indiziaria acquisita in poco più di un anno d'indagine», tra aprile 2018 e novembre 2019, ha «evidenziato come già a decorrere dal 2013 era venuta meno la continuità aziendale, non disponendo la Tecnis di risorse finanziarie sufficienti a supportare le esigenze della produzione e a ripianare le rilevanti passività scadute, in assenza di un immediato rientro delle significative posizioni creditorie vantate nei confronti delle società direttamente e indirettamente riconducibili a Costanzo e Bosco». Lo scrive la Procura di Catania sull'inchiesta Arcot.

A partire dal 2013, osservano i magistrati, la società «iniziava a ricevere diffide ad adempiere, ometteva versamenti di imposte per oltre 7 milioni di euro», per il 2013 e il 2014, e «procedeva alla cessione di asset aziendali rilevanti per l'obbiettiva impossibilità di sostenerne il finanziamento».
Per la Procura sono «emblematiche alcune conversazioni intercettate» da militari del nucleo Pef della guardia di finanza di Catania, che «mettono in evidenza il ruolo dominante del duo Mimmo Costanzo-Concetto Bosco nell'amministrazione della Tecnis e della loro prassi di avvalersi di prestanome».

In uno sfogo con un soggetto non indagato, Gaspare Di Paola, anche lui ai domiciliari, infastidito evidenziava che «mi hanno sempre trattato solo come un prestanome, io ho lavorato con imprenditori molto più seri di lui e di Mimmo, cioè ma molto più seri che quando l'impresa poi non c'era più, a me pagavano lo stesso».
«Quest'indagine ci ha fornito un quadro probatorio particolarmente consistente che evidenzia l'attività predatoria che è stata compiuta dagli imprenditori che gestivano la Tecnis Spa". Lo ha detto il procuratore della Repubblica Catania Carmelo Zuccaro.

«È un operazione che evidenzia come imprenditori particolarmente spregiudicati - ha aggiunto - facciano la parte del leone nell'aggiudicarsi appalti pubblici, non solo in Sicilia ma su tutto il territorio nazionale, e giocando sporco riescono a vincere la concorrenza di altri imprenditori meno spregiudicati».
«Ovviamente questo arreca nell'intero sistema complessivo della gestione degli appalti pubblici un enorme danno – ha osservato Zuccaro - perché imprenditori corretti non riescono ad aggiudicarsi questi appalti».

«Il problema - ha concluso Zuccaro - è che Costanzo voleva perpetuare questo sistema perché, resosi conto che ormai la Tecnis era in una situazione di particolare difficoltà, già aveva cominciato ad aprire un'altra società, la Amec, che stava già cominciando ad aggiudicarsi determinate commesse pubbliche e nella quale i Bosco Lo Giudice e i Costanzo stavano spostando parte della loro attività in modo da perpetuarla nel tempo».

«Non dimentichiamo che Mimmo Costanzo alcuni anni fa, dopo iniziali reticenze, si decide ad ammettere, che la sua famiglia, il padre e poi lui stesso, direttamente pagavano alla famiglia Santapaola delle somme di denaro anche cospicue, ma assolutamente irrisorie rispetto a quelli che noi riteniamo di essere stati i benefici che ha ricavato da questa protezione che gli veniva accordata. Non vi è dubbio che questo modo di procedere predatorio nei confronti delle propria aziende - ha aggiunto Zuccaro - in realtà nascondeva anche la necessità di alimentare la corruzione e di ottenere indebiti vantaggi dai rapporti con l'associazione mafiosa. Però questo non è direttamente l'oggetto di questo procedimento».

Per Zuccaro «questi soggetti, che avevano un portafoglio di commesse di 700 milioni di euro, che avevano 600 dipendenti, non sarebbero mai entrati in crisi se non avessero svolto un'attività predatoria così forte. Né, d'altra parte, avrebbero potuto ottenere questi grandi risultati, visto che la qualità dei lavori da loro svolti non era certamente pregevole, se non avessero potuto contare su favori illeciti. Questo è un ragionamento di carattere generale - ha concluso - e non può essere oggetto di maggiori puntualizzazioni».

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