Il CommentoAmministratori

Sud, governance capace e solidarietà per una soluzione «federata»

di Ettore Jorio

Il Mezzogiorno, così com'è, è destinato ad andare sempre peggio. Non è affatto sufficiente renderlo, così come si sta facendo oggi, destinatario di sogni, tutt'altro. Risulta profondamente sbagliato generare nella collettività aspettative che rischierebbero di rimanere tali se le cose da farsi non venissero portate avanti nel modo giusto. Si rischierebbe di tradurre un'occasione irripetibile, quale è la disponibilità plurimiliardaria dell'Ue, in una profonda delusione. L'ultima. Troppo tempo si è perso a erigerlo, come sempre, a futuro beneficiario di un ripetuto rinnovato interesse del Governo, rimasto ancora sulla carta. Non si può andare avanti così, pena la crisi della sua esistenza, quella che affascina tutti per le sue bellezze e la rinomata ospitalità dei suoi abitanti, salvo poi lasciarlo così come si trova.

La ricetta: governance capace e solidarietà
C'è tempo e modo di sperare oggi, sempreché si riescano a utilizzare al meglio le generosità europee, tra le quali 209 miliardi di Recovery Fund e 37 di Mes, quel fondo salva-Stati la cui disciplina è stata privata delle condizionalità passate. Ovviamente, per goderne e bene, occorre mettere in piedi organizzazioni efficienti che sappiano programmare il meglio. Così come occorre fare con il Sure, i Fondi Bei e quelli ordinari provenienti dalla programmazione Ue 2021-2027, sino a oggi utilizzati, al meglio, dalle Regioni in modo generale e generico. La Next Generation Eu, quale strumento per la ripresa degli Stati membri dotatosi di 750 miliardi, lo esige. Così come lo esige il bilancio a medio termine dell'Ue rafforzato con una provvista di oltre 1.100 miliardi di euro

Pochi ma buoni
Basta immaginare, con siffatte provviste sino a ieri neppure immaginabili, l'opportunità che ha il Mezzogiorno di mutare i propri connotati. Sempre che vengano tradotte infatti le promesse vendute in lungo e in largo dal Governo, che in proposito non sembra affatto lavorare in tal senso. Sul tema, il Mezzogiorno deve rafforzare il proprio potere contrattuale da tradurre in istanza unica, fondata su un progetto condiviso quantomeno da sette Regioni che lo compongono, al netto della Sardegna, di cui cinque nell'obiettivo «Convergenza».
Un progetto imperniato su pochi obiettivi che assicurino la realizzazione delle infrastrutture necessarie alla sua migliore esistenza. Il mare e, con esso, l'acqua e la depurazione; i trasporti e, con essi, il Ponte sullo Stretto che sottragga la Sicilia alle difficoltà di raggiungimento; la prevenzione sismica e idrogeologica; il miglioramento delle condizioni del sistema di istruzione sono i bersagli primari sui quale puntare il mirino della programmazione straordinaria Ue. Quella ordinaria dovrà fare il resto, incentivando gli investimenti negli ambiti produttivi direttamente connessi ai miglioramenti infrastrutturali, peraltro attrattivi anche di nuove iniziative imprenditoriali, specie se beneficiarie di agevolazioni fiscali e contributive. Questo sì che consentirebbe al Mezzogiorno di sedere a pieno titolo sullo scranno della priorità strategica reale del Recovery plan nazionale. Altrimenti, solo chiacchiere.

Lo strumento: il Meridione federato
Per fare tutto questo si renderebbe utile approfittare di due circostanze. La prima risiede nel federare il Meridione, intendendo per tale la materializzazione di una federazione delle Regioni che componevano il Mezzogiorno cancellato dalla Costituzione (articoli 119, già comma 3) con la revisione del 2001. Uno strumento, di natura pattizia da perfezionare a Costituzione invariata, cui affidare il compito di riassumere in una le istanze di finanziamento, formatasi a conclusione di un confronto serrato e continuativo. Una sorta di stanza di mediazione a regime delle singole pretese e la successiva traduzione delle stesse in un progetto di sviluppo comune, fondato sulla generazione di un patrimonio infrastrutturale produttivo e indispensabile a generare crescita complessiva. Un nuova metodologia politico-istituzionale utile a evitare gli errori del passato. Tra questi, la frammentazione e disorganicità degli investimenti nonché le assurde concorrenzialità tra le Regioni, per di più incapaci a sfruttare i ricorrenti Fondi ordinari Ue per miliardi di euro, sino a non riuscire neppure a spenderli tutti.
La seconda è affidata alla sensibilità politico-istituzionale delle Regioni che, a prescindere dalla appartenenze politiche, debbano cominciare a curare, attraverso l'adesione a un siffatto interessante progetto, il traguardo del benessere complessivo del Mezzogiorno. Un modo, questo, per soddisfare i propri naturali egoismi produttivi attraverso le migliori pratiche di altruismo solidale. Il tutto, organicamente finalizzato non solo a programmare meglio e nel'insieme, ma soprattutto a curare «i muscoli burocratici» necessari ad eseguire, bene e celermente, i progetti finanziati, questa volta soggetti alla logica degli stati di avanzamento.