Fisco e contabilità

Rischio mancati incassi Tari per direttiva Ue sui rifiuti e metodo tariffario dell’Arera

di Paola Coppola

Siamo tutti consapevoli e confidenti che in questo grave momento di crisi economica, finanziaria e sociale, la politica sarà in grado risolvere, tra i tanti problemi, quello di ricomporre il divario che percepiamo tra realtà (la pandemia) e l’utopia (come uscirne presto) e che superi la frammentarietà, disorganicità e incoerenza delle norme imposte dalla decretazione di urgenza.

C’è un ambito, poco attenzionato all’opinione pubblica, su cui invito a fare una riflessione. Mi riferisco a quello dei tributi locali dove, per dirlo in breve, è vano ogni tentativo di individuare una strategia unitaria e una risposta rassicurante alle ricadute legate all'attuazione del federalismo fiscale (dal 2009) e a contenere la possibile deriva dell’autonomia differenziata regionale, partita con gli accordi e poi intese tra Stato e talune Regioni, oggi in stand by, viste le marcate diseguaglianze nei livelli essenziali delle prestazioni, in primis, quelle sanitarie che si sono registrate nelle diverse regioni.

Cosa ci deve preoccupare? L’altissimo livello di tassazione, non controllato, né perequato, dei tributi locali (Tari, Imu, Tarip e altre entrate) negli 8mila Comuni italiani che, nelle premesse, dovrebbe garantire il finanziamento delle funzioni essenziali (l’utopia) ma che, invece, (la realtà) incombe come un macigno sulla produttività e redditività di imprese, enti, famiglie e, quindi, in definitiva, sul livello di benessere dei territori. E ciò, si noti, accade, nella prevalenza dei casi, senza che al dovere di contribuzione si accompagni il diritto dei contribuenti di comprendere la destinazione delle “entrate” riscosse (se e quando) dagli enti locali a copertura delle “spese” necessarie al soddisfacimento dei livelli essenziali delle funzioni (e di quelle non essenziali nei territori più virtuosi).

Se poi in questo contesto irrompe l’intervento dello Stato su materie di competenza concorrente o esclusiva delle Regioni, la situazione diventa esplosiva. Ed è quello che sta accadendo in materia Tari, dopo l’emanazione del Dlgs 116/20 che ha recepito la nuova direttiva rifiuti contenuta nel pacchetto europeo di misure sull’economia circolare.

Dal 1° gennaio 2021, è stata introdotta la definizione di rifiuto urbano che si allinea ai parametri europei per uniformare la stima e la comparazione delle performance degli Stati membri che, al contempo provoca l’eliminazione della categoria dei rifiuti «assimilabili e assimilati».

Nella nozione giuridica di rifiuto urbano deve ora ricondursi il lungo elenco di rifiuti generati dalle attività produttive, commerciali e artigianali (carta, cartoni, imballaggi, vernici, detergenti) senza limiti quantitativi, per cui nella scontata previsione dell’aumento molto consistente della quantità e variabilità della qualità di rifiuti da smaltire, i titolari del servizio pubblico potrebbero non essere in grado gestire il servizio e assicurare la continuità della raccolta.

C’è poi l’altra grave questione dei possibili mancati incassi Tari se le aziende sceglieranno, come possono, già dal 1° gennaio 2021, ex Dlgs 116/20, di affidarsi a operatori privati piuttosto che al gestore pubblico (con opzione di durata quinquennale). Se ciò avverrà, anche se non è dato ancora comprendere con quali modalità e tempi, la Tari 2021 potrebbe non bastare a coprire i costi del servizio.

E non solo. La nuova definizione di rifiuto urbano stravolge i meccanismi di calcolo della Tari investita, nelle more, anche dal nuovo metodo tariffario unificato a «costi standard di efficienza» del servizio di smaltimento che sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2020, sotto il controllo regolatore dell’Arera che, con delibera 443/19 ha approvato, a tal fine, il metodo tariffario servizio integrato di gestione dei rifiuti (Mtr).

L’applicazione della Tari “standard” è stata prorogata al 2021, anche in ragione dell’emergenza Covid, ma nel frattempo è entrato in vigore il Dlgs 116/20 per cui, di fronte al temibile rischio di un aumento incontrollato della Tari, l’Anci si è mobilitata per chiedere interventi urgenti al Governo e l’istituzione di un tavolo tecnico di confronto per esaminare le ricadute del Dlgs 116/20 nei Comuni dove si applica la Tari ordinaria e nei Comuni (circa cento) dove si applica la Tari puntuale, ovvero quella in cui la tariffa deve calcolarsi sulla base dei rifiuti effettivamente prodotti dalle utenze. L’obiettivo è quello di superare il punto critico della Tari ovvero quello di determinare le tariffe (parte fissa e variabile) a copertura integrale dei costi del servizio in mancanza di costi standard di efficienza che, a oggi, ha lasciato la misura del prelievo alla “discrezionalità” tecnica e capacità finanziaria dei Comuni.

Sono emerse, per questo motivo, ingiustificabili diseguaglianze tra utenze identiche (soprattutto le non domestiche) chiamate a corrispondere in un dato Comune, a parità di produzione di rifiuti, una Tari doppia, tripla o quadrupla di quella imposta da altro limitrofo. Se consideriamo anche il fatto che in alcuni Comuni il Pef e il bilancio di previsione non vengono approvati nei tempi assegnati, è altissima la percentuale di mancata riscossione dei tributi, si versa in una situazione di dissesto o pre-dissesto che impatta sui livelli di spesa

Nulla cambia, e cambierà se chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche non decide di collaborare con gli altri livelli di governo nell’ottica della sussidiarietà, scenda nel merito tecnico delle questioni ed operi, in definitiva, con senso di responsabilità nel perseguire il bene comune.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©