Urbanistica

In caso di ampliamento, l’abuso edilizio va valutato sull’intero edificio

Non si possono considerare separatamente i singoli componenti degli interventi anche i balconi che riguardano una piccola parte della superficie

di Rosario Dolce

La Cassazione, sezione penale, con la sentenza 6327 del 18 febbraio 2021, ha appena definito un caso di abuso edilizio, correlato all'amplimento di un edificio (anche) con la realizzazione, nel retroprosetto, di due terrazze pertinenziali. Si ricava la declinazione del «principio di unitarietà della costruzione edilizia» per la valutazione dei titoli abilitativi e della stessa fattispecie di reato da poter contestare.

Le norme
A norma dell'articolo 3, comma 1, lettera e, del Dpr 380 del 2001 gli «interventi di nuova costruzione», sono quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie predefinite dalla stessa norma, e, ad ogni modo, sono comunque da considerarsi tali: «e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale».

La norma va letta in combinato sia con la previsione dell'articolo 10 dello stesso Testo unico dell'edilizia - recante l'elenco degli interventi che richiedono il permesso a costruire – sia con il disposto contenuto nell'articolo 31, a mente del quale: «sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabili […]».

Le difese
I comproprietari dell'immobile si erano difesi dalla imputazione affermando che le opere da loro realizzate andavano considerate singolarmente e non nel loro complesso. Osservavano che, fatta eccezione per l'intervento di ampliamento del fabbricato, la terrazza-balcone, il viale di accesso, la pavimentazione con piastrelle erano tutti soggetti alla Dia e poi Scia di cui all'articolo 22 del Dpr 380/2001. Aggiungevano che, siccome non vi erano norme regionali specifiche sul tema (Puglia), non rilevava la previa acquisizione del permesso a costruire né per la terrazza più grande né per il terrazzino.La predetta tesi difensiva, tuttavia, non ha colto nel segno.

La motivazione
Secondo i giudici di legittimità, per contro, la valutazione dell'opera edilizia va computata nel suo complesso e non parzialmente, a seconda dell'intervento sulle pertinenze.In altri termini, la valutazione di un'opera abusiva va effettuata per intero, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti degli interventi (nella fattispecie i balconi), ancorché gli stessi interessino una parte limitata della superfice.

Secondo il concetto unitario della costruzione - avallata dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cassazione 15442 del 2014) - la stessa poi può dirsi completata ove siano terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio, con la conseguenza che la permanenza del reato di costruzione in difetto del permesso di costruire cessa con la realizzazione totale dell'opera in ogni sua parte.Lo stesso calcolo della prescrizione del reato deve riguardare l'opera nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i suoi singoli componenti (Corte cassazione 30147 del 2017).

Per essere più precisi, la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado (Cassazione 29974/2014; vedi anche 49990/2015 ).

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