Il CommentoAmministratori

La Provincia è l’unità di misura del benessere

di Michele de Pascale (*)

La classifica della qualità della vita de Il Sole 24 Ore è ormai un appuntamento atteso da tutti gli amministratori, un'analisi attenta a e approfondita sullo stato del Paese che apre dibattiti, confronti e offre spunti di riflessione importanti. Il valore aggiunto di questa classifica, infatti, è che l'analisi va decisamente oltre al solo risultato delle singole realtà, ma pone l'attenzione più in generale sulle variabili che determinano una buona qualità della vita.

Ed è immediato, a guardare i cluster individuati dallo studio, quanto si stia facendo sempre più marcata la distanza tra il modo in cui si può verificare l'organizzazione di questo Paese e il sistema istituzionale chiamato ad amministrarlo. La qualità della vita,ci dice questa classifica, si individua per Provincia (o Città Metropolitana ovviamente, istituzione che ha sostituito le omonime province nei territori di competenza) perché, come appare evidente scorrendo i parametri, l'Italia è costruita, si relaziona, e per questo giustamente si analizza, su base provinciale. Lo Stato organizza la sua presenza sul territorio su base provinciale, attraverso le rete delle prefetture e degli uffici territoriali; tutto il comparto della sicurezza ha dimensione provinciale; le Regioni hanno costituito agenzie di dimensione per lo più provinciale per organizzare i servizi sul territorio. Questa classifica si basa su dati raccolti dall'Istat a livello provinciale, all'interno del quale il peso del Comune capoluogo, verso cui per ovvie ragioni si indirizza la maggior parte delle attenzioni, varia moltissimo di caso in caso, in termini di abitanti rispetto al totale della Provincia e in alcuni casi non supera il 10 pr cento. Non solo, questo studio ci racconta che sono proprio i settori che a quanto pare sono fondamentali per la qualità della vita, quelli a non avere un presidio istituzionale a livello provinciale, restando così senza una guida e anche senza responsabilità pubbliche. Si tratta di temi come lo sviluppo economico, la pianificazione territoriale e strategica, la tutela ambientale alla digitalizzazione.

Se queste variabili hanno un valore se declinati a livello provinciale, non si capisce perché non debba essere considerato strategico disporre di un ente locale forte, stabile, con un ruolo e una governance chiari, che rappresenti le istituzioni a questo stesso livello e che governi queste variabili.Invece, a distanza di ormai quattro anni dal referendum, tre Governi, per altro armati dalle migliori intenzioni, non sono ancora riusciti a superare una legge, la 56/14, che inizia con «in attesa del referendum istituzionale». Si continuano a promuovere norme, anche condivisibili, che danno fortissimi incentivi per fusioni fra comuni che passano, potenzialmente, da mille a duemila abitanti, con un impatto evidentemente quasi nullo sia su di loro che sul sistema. Per contro, si continua invece a non capire le potenzialità che può avere un ente, Provincia o Città Metropolitana, che associa obbligatoriamente tutti i Comuni “costringendoli” così a lavorare insieme, superando divisioni politiche, per gestire servizi e politiche fondamentali che necessitano di una scala più ampia. Tra l'altro in sei anni siamo passati da una narrazione che si è rivelata mistificatoria sulla inutilità delle Province al riconoscimento della loro importanza, sostenuto nei fatti da una serie di interventi e misure prese da Governo e Parlamento che hanno restituito a questi enti capacità di investimento per rispondere ai bisogni e ai diritti di comunità e sistemi economici. Un ruolo che finalmente inizia a essere riconosciuto da tutti i partiti politici.Che sia questa classifica un nuovo impulso ad accelerare e che nel 2021 si arrivi finalmente alla revisione profonda della legge 56/14 che affidi a qualcuno l'opportunità e, ovviamente anche la responsabilità, di coordinare e pianificare l'impegno di istituzioni, imprese e cittadini per una maggiore qualità della vita in tutto il Paese.