Amministratori

Corte dei conti, in dieci anni 1.173 sentenze per frodi su fondi pubblici

Su questi dati, l’allarme lanciato dal presidente della Corte Guido Carlino nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario

di Gianni Trovati

Il rischio di frodi e corruzione è proporzionale ai flussi di risorse che animano la finanza pubblica. La Corte dei conti conosce bene questa regola, e ha voluto tradurla in una cifra venerdì, nell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Il numero chiave è 1.173: sono le sentenze contabili per frode che hanno cadenzato gli ultimi dieci anni di attività della Corte, e che hanno determinato condanne erariali per 730 milioni di euro. Il valore delle condanne, per la fisiologia del procedimento contabile e per i diversi istituti deflattivi che initervengono, rappresenta sempre una frazione dei danni erariali contestati, che infatti fra 2011 e 2020 arrivano a 1,2 miliardi di euro. E a loro volta le contestazioni inquadrano solo una parte del problema, perché non tutti gli sprechi sono frodi, e non tutte le frodi riescono a essere marcate con l’etichetta del danno erariale che ha bisogno del dolo o della colpa grave provata per tabulas.

Su questi presupposti, l’allarme lanciato dal presidente della Corte Guido Carlino sul «rischio che molti, per motivi criminosi, possano trarre vantaggio dalla pandemia» è una conseguenza inevitabile. Inevitabile ma non generica.

Davanti al presidente del Consiglio Mario Draghi, alla sua prima uscita pubblica dopo la fiducia larga ottenuta alle Camere, sia Carlino sia il Procuratore generale Angelo Canale hanno voluto infatti muovere un attacco specifico alle regole emergenziali che hanno provato a tagliare le unghie alla Corte. Il punto dolente continua a essere rappresentato dall’articolo 21 del decreto Semplificazioni, che ha limitato (fino al 31 dicembre 2021) il danno erariale ai casi di dolo, una ristretta minoranza, con la sola eccezione delle vicende in cui a colpire la finanza pubblica sia «l’omissione o l’inerzia del soggetto agente».

La regola, che ha rappresentato il punto più critico nei rapporti sempre piuttosto altalenanti fra la magistratura contabile e il governo Conte-2, nasce con l’obiettivo di accelerare i procedimenti chiamati a tradurre in pratica i progetti di investimento pubblico.

In quest’ottica lo stop alla responsabilità erariale cancellerebbe la «paura della firma» che paralizzerebbe i funzionari pubblici alle prese con il dedalo normativo sui contratti pubblici. Per la Corte l’analisi è sbagliata.

Perchè «ritardi, omissioni e inefficienze sono indubitabili», spiega Canale, ma «è dubbio che sia la paura della firma recata dal rischio di incorrere in responsabilità erariale a rallentare l’azione amministrativa. I freni, piuttosto, andrebbero cercati fra «altre più oggettive cause» fra cui «l’ipertrofia normativa, la frammentazione e la sovrapposizione delle competenze, la tortuosità dei processi decisionali». Sintesi: se dirigenti e funzionari fermano la penna vinti dall’incertezza di fronte al labirinto di regole e procedure, la soluzione è nel cambio di regole e non nella depenalizzazione degli errori. Anche perché, aggiunge Carlino, la ripresa sperata con il Recovery può arrivare «solo in presenza di trasparenza, legalità finanziaria e controlli che garantiscano la realizzazione dei programmi finanziati».

È un’ottica, quella proposta dalla Corte, che appare vicina alle considerazioni sul binomio legalità-semplificazioni proposto alla Camera da Draghi. Che infatti ieri, di fronte ai magistrati, non si è lanciato in una difesa calda di quell’articolo 21 che tanto agita la Corte.

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