Il CommentoPersonale

Nella Pa ora più competenze per avere meno consulenze

di Gaetano Scognamiglio e Francesco Verbaro

Quaranta domande e un’ora per rispondere. Parte così la rivoluzione dei concorsi per selezionare 2.800 unità di personale non dirigenziale per le Regioni del sud.

L’altra novità è quella di dotare le autorità di gestione, gli organismi intermedi e i soggetti beneficiari del personale necessario a gestire i fondi delle politiche di coesione al Sud. Il bando prevede l’assunzione di figure specialistiche fra cui gli informatici. Potrebbe essere la prima attuazione di una proposta interessante del ministro Brunetta, di competere per assumere i tecnici presenti sul mercato. Competenze che negli ultimi 30 anni sono state fornite dalle assistenze tecniche, cresciute in modo esponenziale nella Pa con le società di consulenza.

Siamo forse di fronte a un inizio di reinternalizzazione di funzioni, che da anni sono affidate a soggetti internazionali con il rischio di appaltare alla consulenza esterna compiti della Pa come scrivere bandi e fissarne i criteri, con la conseguenza di perdere una competenza essenziale e di dare un ruolo strategico alle società di consulenza, che fisiologicamente dovrebbero avere un ruolo ancillare e non sostitutivo delle Pa.

Ma la rivoluzione del reclutamento non si può limitare al fattore temporale perché si rischia che le decine di migliaia di posti da mettere a concorso si risolvano in un’infornata di personale, senza le professionalità necessarie. Rischio tanto più concreto se per tagliare i tempi si riducono le prove di concorso e il livello di selezione.

Né per coprire velocemente i posti vacanti si può ricorrere allo scorrimento di vecchie graduatorie, o alla proroga dei contratti a termine (con la prospettiva di una stabilizzazione come probabilmente accadrà con i navigator). Meglio ammettere da subito che quando si assumono centinaia di persone a termine queste saranno poi assunte a tempo indeterminato.

Bisogna dunque trovare un equilibrio fra la necessità di accelerare e quella di fare selezione di qualità.

Migliorare il reclutamento significa individuare i profili da assumere per rispondere alle esigenze di una Pa che si deve confrontare con realtà in continua evoluzione. Qui può venire in aiuto una novità del Patto per l'innovazione del lavoro pubblico, quel «piano delle competenze su cui costruire la programmazione dei fabbisogni e le assunzioni, sulla base di una puntuale ricognizione, tenuto conto della revisione dei profili professionali». L’idea è buona, anche per introdurre nella Pa professionalità capaci di guidare la transizione digitale.

Per dare un volto nuovo alla Pa sarebbe importante immettere competenze dall’esterno, soprattutto a livello dirigenziale. Occorrerebbe estendere la modalità semplificata per i funzionari anche al reclutamento dei dirigenti. In questo caso i titoli assumono un ruolo decisivo per fare reclutamento di qualità e dovrebbero riguardare anche le esperienze pluriennali nel privato.

Infine la qualità va anche mantenuta con un investimento sull’aggiornamento permanente, stupidamente penalizzato fino a oggi, anche di fronte a riforme che avrebbero richiesto un accompagnamento formativo per essere realmente implementate. Su questo la valorizzazione della formazione, intesa come aggiornamento permanente entra da protagonista nel citato patto per l'innovazione del lavoro pubblico dove è considerata «quale diritto soggettivo del dipendente - assumendo il rango di investimento organizzativo», come da sempre da chi scrive ha auspicato