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Coronavirus - Siproimi in soccorso dei Comuni sull'accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo

di Mimma Amoroso

Con la conversione in legge del decreto «Cura Italia» sono state introdotte importanti novità in materia di accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo, connessa all'esigenza di fronteggiare la pandemia da Covid 19 anche in questo settore. Ma si è fatto ancora di più, vediamo perchè.
L'articolo 86 bis prevede quattro novità e nel terzo comma troviamo la disposizione più dirompente poiché introduce una importante deroga al sistema di accoglienza nato esclusivamente per i rifugiati.

L'accoglienza nel Siproimi
Si sa che la rete del Siproimi (ex Sprar) è nata sin dal 2002 su iniziativa del ministero dell'Interno che, d'intesa con Anci, ha finanziato strutture per richiedenti asilo e rifugiati gestite dagli enti locali sulla base di progetti di accoglienza e integrazione. La rete si è estesa sul territorio nazionale ed è stata recentemente riformata per essere destinata esclusivamente ai rifugiati e a poche altre categorie di stranieri titolari di speciali permessi di soggiorno. La finalità dell'accoglienza è quella di rendere gli stranieri nuovamente autonomi nella società italiana, attraverso corsi di istruzione e qualificazione e altre iniziative di inserimento sociale.
In considerazione dell'emergenza sanitaria in atto e sino a quando non ne verrà dichiarata la cessazione, è stata autorizzata l'estensione dell'accoglienza nelle strutture del Siproimi attualmente non occupate a favore di:
a) richiedenti protezione internazionale e dei titolari di protezione umanitaria sottoposti alla misura della quarantena;
b) persone in stato di necessità, di qualunque nazionalità.
Pertanto, nel primo caso, le Prefetture che gestiscono strutture di accoglienza per richiedenti asilo (CAS) possono ricorrere ai progetti Siproimi per trasferire soggetti che sono sottoposti alla misura della quarantena e consentire, in tal modo, di arginare la diffusione del virus ai migranti non contagiati che sono accolti nei medesimi centri ove si trova un positivo; nel secondo caso sono gli stessi Comuni che possono usufruire di tali strutture per dare ricovero a persone in stato di necessità (pensiamo in primo luogo ai senza fissa dimora, ma non solo) che non possono rispettare le misure di isolamento che ancora oggi sono imposte a tutta la popolazione.
Naturalmente in quest'ultimo caso gli oneri non saranno a carico del Fondo destinato ai rifugiati e con il ministero dell'Interno dovranno essere concordati i tempi e le modalità di restituzione delle strutture alle finalità originarie. Ciò che rileva è l'aver individuato una soluzione che in taluni territori potrà essere certamente utile a risollevare l'ente locale da problemi di disagio sociale.

Le altre novità introdotte dall'articolo 86 bis
È autorizzata la prosecuzione sino al 31 dicembre dei progetti di accoglienza del sistema Siproimi già scaduti o in scadenza alla fine di giugno. Ciò significa che gli enti locali che avevano condotto – direttamente o tramite soggetti gestori – progetti di questo genere, potranno continuare ad operare sino alla fine del 2020 prorogando gli affidamenti in corso (in deroga al codice degli appalti), salvo che non sussistano ragioni per disporne la revoca e sempre nel rispetto della normativa antimafia, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea. In tal modo sarà possibile assicurare la continuità dei servizi di accoglienza sollevando gli enti locali dalla difficoltà di affidare la loro prestazione con nuove procedure di evidenza pubblica e potranno essere soddisfatte le esigenze illustrate nel punto precedente.

È autorizzata la prosecuzione dell'accoglienza nei centri cosiddetti Cas e nel Siproimi a favore di coloro che non ne hanno più titolo. Si tratta di una disposizione che in parte era stata anticipata da specifiche indicazioni diramate ai Prefetti dal dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno e che si è rivelata sin dal primo momento fondamentale per poter garantire il rispetto del lockdown a tutti, anche agli stranieri.
Infatti, nel caso dei Cas l'accoglienza è normalmente ammessa sino alla decisione della Commissione territoriale che decide sulla domanda di asilo o sino al termine del ricorso eventualmente presentato contro il rigetto della domanda; nel caso del Siproimi, invece, l'accoglienza dei titolari di protezione internazionale è ammessa per sei mesi, prorogabili solo in presenza di specifici motivi. E allora, cosa sarebbe successo se durante questi mesi di chiusura e di divieto di mobilità gli stranieri che avrebbero dovuto lasciare le strutture di accoglienza avessero dovuto uscire e cercare una nuova sistemazione? Bene quindi ha fatto prima il dipartimento e poi il legislatore (evidentemente su proposta governativa) ad ammettere la prosecuzione dell'accoglienza e a dare copertura, in tal modo, ai conseguenti oneri finanziari.

Modifica dei rapporti contrattuali con gli enti gestori
È autorizzata la modifica dei contratti in essere per lavori, servizi o forniture supplementari, per i centri e le strutture di accoglienza, anche per minori stranieri non accompagnati, per assicurare la tempestiva adozione delle misure dirette al contenimento delle diffusione del virus. Anche in questo caso la disposizione è stata anticipata da indicazioni fornite in tal senso dal competente dipartimento del ministero dell'Interno e si giustifica per consentire ai gestori (che com'è noto hanno subìto la riduzione degli importi contrattuali per effetto del nuovo capitolato voluto dal Ministro Salvini) di coprire le spese derivanti dagli oneri per la sanificazione degli ambienti, le forniture di Dpi per operatori e ospiti.

Impiego di stranieri nel settore sanitario
Infine, un'altra novità che riguarda cittadini non italiani è quella del comma 1 bis dell'articolo 13 che, nello stabilire deroghe alle norme in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie, ha anche consentito, sempre per la durata dell'emergenza, la possibilità di assumere cittadini non appartenenti all'Unione europea di lavorare per l'esercizio di professioni sanitarie e per la qualifica di operatore socio-sanitario.
Difatti, l'Italia è ricca non solo dell'umanità di medici ed infermieri che si sono messi a disposizione, anche rientrando dalla pensione, per sostenere il carico di lavoro del personale ospedaliero dedito alle cure dei malati di covid, ma anche di tanti stranieri che esercitano in privato le professioni sanitarie e che, per il fatto di non appartenere alla Unione europea, non possono essere assunti da strutture pubbliche.
Ora potranno, e sarà un grande esempio di solidarietà che deve far riflettere sull'importanza di puntare sulla professionalità di tutti, anche non italiani o europei, per migliorare la qualità e l'efficienza dei servizi pubblici.

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