Il CommentoPersonale

Dirigenti pubblici in trincea per la cabina di regia del recovery

di Gustavo Piga e Gaetano Scognamiglio

La questione della governance dei fondi del Recovery non è meramente politica: essa richiede decisioni di portata non indifferente anche a livello amministrativo, che rischiano di lasciare il Paese o più sguarnito o meglio attrezzato di fronte alle sfide future.

Un fatto è certo. All’emergenza si risponde con l’emergenza. E dunque di fronte ai tempi imposti per la progettazione del Recovery Plan italiano e soprattutto per la sua messa a terra – come si dice – nei tempi stabiliti, che sono brevi, l’unica soluzione possibile è quella di creare una struttura dedicata. Allora è bene accentrare tutto su un unico punto di comando, secondo lo schema che emerge dalle prime indicazioni, però senza dimenticare che la complessità della nostra macchina burocratica richiede competenze in grado di rapportarsi con sicurezza con le strutture dello Stato, che dovranno poi operare sul campo.

È ragionevole pensare di poter trovare all’interno della macchina dello Stato professionalità adeguate per condurre in porto il progetto, organizzandole in una unità di missione accentrata, ma senza la mediazione di cosiddetti super manager che a dire il vero non risulta abbiano mai prodotto miracoli, anche perché poi sempre dalle strutture amministrative bisogna passare ed è bene che lo faccia chi le conosce alla perfezione.

Perché dunque non scegliere i coordinatori fra i dirigenti di prima e seconda fascia (per i quali lo Stato spende circa 500 milioni l’anno), fra cui vi sono eccezionali professionalità, acquisite sul campo spesso con riconoscimenti e apprezzamenti internazionali ancor prima che nazionali. Così facendo si eviterebbe di dare un segnale di sfiducia dello Stato nei confronti dei propri “generali”. Anche perché se non si dà loro fiducia poi è difficile riceverla.

Quanto alle deroghe alle procedure vigenti, figlie di una convinzione oltremodo diffusa che siano le troppe regole a frenare il Paese, bisognerà anche qui riflettere bene. Intanto se si considera come unico limite quello delle norme penali sarà il giudice penale e non l’amministrazione attiva a sovrintendere all’attuazione del Recovery Plan. Poi meno regole senza maggiore competenza non portano lontano: l’enfasi sulla qualità della squadra che gestirà i fondi europei non può essere fatta venir meno solo perché vi è più discrezionalità, che si rivela positiva solo quando accompagnata da una maggiore professionalità.

A questo riguardo il Recovery ci permette, su esplicita richiesta europea, di investire parte dei fondi in capacità amministrativa: sarà bene dunque che si proceda a dedicare finanziamenti, tra quelli disponibili, all’inserimento di figure professionali giovani con quelle competenze interdisciplinari che sono tipicamente richieste da team chiamati a realizzare gare d’appalto a prova di ricorso e senza sorprese in fase di realizzazione. Figure che, finita l’emergenza Covid, potranno essere re-immesse nei gangli di una Pubblica amministrazione che, sperabilmente, si sarà finalmente dotata della tanto agognata e sempre disattesa riforma sulla qualificazione delle stazioni appaltanti.

Un ultimo caveat. Centralizzare le decisioni sul dove spendere ha vantaggi evidenti di maggiore e benefico coordinamento ma rischia anche di replicare la solita problematica della discriminazione rispetto alle Pmi, se si lanceranno bandi di gara di dimensioni tali che quelle imprese non vi potranno partecipare. Spetterà al vertice dare istruzioni specifiche su come conciliare, e si può fare, la centralizzazione con l’attenzione alle nostre piccole imprese, così da rilanciarle proprio durante una crisi che rischia di lasciarle per sempre a terra.