Urbanistica

Dna: nel mirino delle mafie sanità Covid e deroghe appalti

L'antimafia: le organizzazioni criminali hanno saputo cogliere il carattere dell’estrema urgenza subentrando nelle procedure pubbliche dirette

di Roberto Galullo

Dai Casamonica ai Fasciani, dai Casalesi alla mafia catanese, dalle cosche calabresi ai clan pugliesi, tutti stanno provando a mettere le mani nel ricchissimo piatto legato alla compravendita di materiale sanitario post pandemia da Covid-19 e alle rilevanti risorse pubbliche in via di erogazione (o già erogate).

È la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo a metterlo nero su bianco con i primi, consistenti spunti investigativi spediti alle Direzioni distrettuali attraverso una scrupolosa analisi delle operazioni sospette segnalate da intermediari finanziari, banche in primis e professionisti.

Nella relazione sul 2019, appena spedita ai vertici istituzionali, il capitolo dedicato alla criminalità economica e finanziaria connessa all’emergenza Covid-19 abbraccia però anche il 2020, fino a settembre.

Le organizzazioni criminali «hanno saputo cogliere – si legge nella relazione della Dna – il carattere dell’estrema urgenza nella tutela della salute pubblica, subentrando anche attraverso la pre-costituzione di reticolate schermature societarie, nelle procedure pubbliche dirette all’affidamento della fornitura di beni e servizi, anche in deroga alle norme previste dal Codice degli appalti».

Alcuni tentativi – come scrive testualmente la Dna – saranno stati anche «maldestri» ma ciò non toglie che l’attenzione spasmodica all’emergenza pandemica ha portato cosche e clan a guardare oltre, estendendo il raggio di azione a due aspetti di logica conseguenza – vale a dire la pratica usuraria e l’attrazione fatale per i finanziamenti garantiti dallo Stato con il cosiddetto decreto “liquidità” – ed un aspetto, invece, di criminalità finanziaria “creativa”.

Alcuni spunti pre-investigativi – che provengono dalla segnalazione di operazioni sospette – riferibili all’emergenza sanitaria, non si limitano infatti alle classiche manovre speculative sulla compravendita di materiale ma evidenziano condotte di presunto riciclaggio di ingenti capitali collocati all’estero.

Il meccanismo è semplice. Con il pretesto del finanziamento a favore di società italiane, destinato a non meglio precisate attività volte a sostenere l’emergenza sanitaria, alcuni soggetti riconducibili alle organizzazioni criminali hanno tentato (e tenteranno ancora) di far rientrare in Italia i capitali oltrefrontiera.

«Da una attenta analisi, valutazione e successivo approfondimento, pur se preliminare, delle operatività segnalate – si legge nella relazione della Direzione nazionale antimafia – si può addivenire alla tempestiva individuazione di contesti criminali la cui regia retrostante potrebbe riguardare i classici meccanismi di forte accumulazione finanziaria retti dai classici, seppur complessi, schemi di riciclaggio e reimpiego di capitali che si realizzano in vari settori della sfera economica ed imprenditoriale, ove i medesimi si dimostrano capaci di rilevare e costituire imprese, aziende e beni strumentali, che divengono funzionali a qualsivoglia progetto criminale».

Una frase magari un po’ contorta da seguire ma dietro la quale c’è la valorizzazione di un’arma fondamentale per contrastare la finanza e l’economia criminale: le segnalazioni di operazioni sospette. Ebbene, i primi 20 spunti investigativi spediti dal Procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho alle direzioni distrettuali e relativi al periodo aprile/settembre, evidenziano le grandi manovre delle mafie sull’emergenza sanitaria partendo proprio dalla Capitale, con ben 6 segnalazioni. Se si va a vedere, spiega la Dna, la maggior parte degli spunti investigativi tocca il Nord e il Centro.

Anche così si spiega l’evoluzione dell’economia e della finanza mafiosa.

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