Urbanistica

Regioni, dal 2010 speso solo il 26% dei fondi per il dissesto idrogeologico

La relazione che fotografa le lentezze e le criticità dell’intervento statale e regionale sul dissesto è sul tavolo del sottosegretario all’Ambiente, Roberto Morassut

di Giorgio Santilli

Dei 5.890 milioni di euro messi a disposizione degli interventi per il dissesto idrogeologico dagli accordi di programma del 2010 in avanti, le regioni hanno speso a oggi solo il 26,3% (1.531 milioni). Farraginosi meccanismi di approvazione, carenze di progettazione e lentezze nell’esecuzione degli interventi rallentano già il primo passaggio del percorso, l’accreditamento dei fondi da parte del ministero dell’Ambiente: questo può avvenire infatti solo quando vengono via via presentati progetti o stati di avanzamento lavoro (quando i lavori sono avviati). Anche i poteri di commissario straordinario affidati ai presidenti delle regioni dal 2015 non sembrano aver funzionato, al punto che oggi il governo li ha rafforzati con il Dl semplificazioni. Fatto sta che i commissari straordinari hanno speso il 58% dei fondi accreditati sulle loro contabilità speciali: 1.531 milioni su 2.638.

La relazione che fotografa le lentezze e le criticità dell’intervento statale e regionale sul dissesto idrogeologico attraverso la lettura delle singole relazioni presentate dai commissari con dati aggiornati al 30 giugno è sul tavolo del sottosegretario all’Ambiente, Roberto Morassut. Con il ministro Costa, Morassut sta provando a stappare uno dei capitoli di investimento più problematici della storia d’Italia. Aldilà delle polemiche che caratterizzano l’intervento nei momenti di gravi crisi (con morti e feriti) come quella dei giorni scorsi, questa relazione prova a fare ordine su quel che funziona e quel che non funziona.

Anzitutto, fra le regioni le performance sono molto varie, per il fatto che alcuni governatori usano al meglio i poteri commissariali e accentrano gli interventi, mentre altri si limitano a girare le risorse e a scaricare sui comuni le responsabilità dell’attuazione (spesso senza che i comuni abbiano strumenti e strutture tecniche per gestirli).

La classifica delle regioni in termini di efficienza (si veda la tabella a lato) riserva qualche sorpresa. Non tanto nel gruppo di testa dove ci sono la Lombardia che ha erogato il 42,4% delle risorse programmate, Emilia Romagna (37,9%), Puglia (34.4%) e Sicilia (33,8%). Quanto nel gruppo di coda dove con la Sardegna (11,5%) ci sono Campania (16,8%), Veneto (17,2%) e Friuli Venezia Giulia (18,1%). La tabella include tutti i rivoli di finanziamento (compresi patti per il Sud, stralci operativi dell’Ambiente e stralcio aree metropolitane del 2015).

Per quanto riguarda invece la capacità di erogare le risorse effettivamente disponibili nelle casse dei governatori vince il presidente ligure Giovanni Toti con l’88,7%. Segue la Sicilia con l’84,8%. Va male anche qui il Veneto di Luca Zaia (37,1%), in fondo insieme alle Marche (36,5%).

Sono gli stessi commissari, nelle loro relazioni semestrali, a evidenziare le criticità che si trovano a fronteggiare: «durata eccessiva delle procedure per l’ottenimento dei poteri, soprattutto in campo ambientale», «pluralità di sistemi di monitoraggio e rendicontazione in funzione della tipologia di fonti di finanziamento», «durata eccessiva di gare e contenzioso», «ricorsi soprattutto in campo ambientale sui territori», «problemi con i comuni cui è stata delegata l’attuazione», «possibilità da parte dei commissari di poter usare risorse assegnate ma non ancora trasferite».

La relazione controdeduce però rispetto a queste osservazioni evidenziando che i commissari dovrebbero «esercitare i loro poteri autorizzativi e sostitutivi per comprimere i tempi delle procedure anche in campo ambientale», che «alla maggiore centralizzazione delle attività corrispondono migliori risultati in termine di attuazione», che è possibile convocare la conferenza di servizi (che in questa fase di emergenza Covid può essere convocata anche per via telematica) ponendo il termine di trenta giorni per la decisione, che il decreto semplificazioni ha introdotto poteri più ampi anche in deroga al codice appalti.

Il ministero più in generale lamenta la mancanza di una organica legislazione in materia che consenta di superare la frammentazione delle procedure soprattutto in materia di programmazione e accreditamento delle risorse, diverse per i vari tipi di strumento finanziario (ci sono anche le risorse del Fondo sviluppo coesione). Una iniziativa legislativa di questo tipo - denominata «CantierAmbiente» - si sta mettendo a punto. Fra le altre criticità anche quella finanziaria, relativa al fatto che ci sono 2.940 milioni di euro appostati su annualità comprese fra il 2021 e il 2033. Una accelerazione delle procedure è anche prevista con la revisione del Dpcm del 2015, per cui il ministero dell’Ambiente sta aspettando il concerto con il ministero delle Infrastrutture.

Un nota a sé merita il fondo progettazione introdotto nel 2016. Finora a ha finanziato 500 interventi che danno un investimento complessivo di 2,8 miliardi. Dei 100 milioni disponibili sono stati accreditati circa un terzo, la prima tranche praticamente completa. L’erogazione però è al 10%, sotto i 10 milioni di euro.

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