Urbanistica

Recovery Plan, Dario Stefano: progetti frammentati, manca visione su crescita e infrastrutture

Intervista al presidente della commissione Politiche europee del Senato che sta esaminando il testo

di Emilia Patta

Che cosa manca al Piano nazionale di ripresa e resilienza consegnato al Parlamento dall'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte? «Sostanzialmente una visione d'insieme, una direzione». Il democratico Dario Stefano, presidente della commissione Politiche Ue del Senato alla quale il documento è stato assegnato assieme alla Bilancio, punta il dito contro l'estrema frammentazione dei progetti. «L'attuale versione del Recovery plan, quella votata in Cdm lo scorso 12 gennaio, continua a scontare l'assenza di una regia corale per cui in alcuni punti sembra più un collage di input e disposizioni che un quadro di impegni organico», avverte Stefano. Anticipando così le linee principali della risoluzione che sarà portata al voto dell'Aula di Palazzo Madama. «Il Parlamento - ricorda Stefano - ha votato quasi all'unanimità l'impegno per il governo di rendere quello parlamentare l'ultimo step di valutazione del Piano prima dell'invio a Bruxelles. Vanno ora concordate con il nuovo esecutivo le modalità e i passaggi».

Tra le critiche più forti al Recovery plan c'è l'eccessivo utilizzo di progetti già in essere. Tra le indicazioni del Parlamento ci sarà anche quella di spingere di più su una progettualità innovativa?
Certo. Il rischio, da scongiurare assolutamente, è quello di assegnare le risorse a progetti già pronti, tirati fuori da cassetti in cui giacevano da tempo. Se il Piano si propone di essere un'occasione per favorire un riequilibrio di posizioni rispetto alle tre priorità trasversali, che sono Sud, giovani e donne, allora occorre aiutare chi non è pronto. Diversamente, il piano rischia di essere un sostegno per quei contesti che sono già dotati di capacità progettuale e realizzativa e, dunque, in definitiva, rischia di trasformarsi paradossalmente in un moltiplicatore di squilibri di genere, generazionali e territoriali. E poi segnalo anche la possibilità, veramente storica, di rendere per la prima volta la Pubblica amministrazione il primo centro di investimento e non più solo centro di costo.

Che parte ha il Sud?
Il ruolo del Mezzogiorno nel Next Generation ad oggi rimane «abbastanza misterioso e, invece, dovrebbe essere il perno centrale della strategia di rilancio del processo economico di crescita post pandemico», come ha ben sottolineato Svimez in audizione. Nella proposta attuale troviamo scritto che l'investimento sulla rete ferroviaria porta a compimento i principali assi ferroviari legandoli e integrandoli alla rete Av/Ac. Si afferma che l'alta velocità per il Sud si estenderà lungo la direttrice Napoli-Bari e con la massima velocizzazione della Salerno-Reggio Calabria e della diagonale da Salerno a Taranto. Ma si tratta di opere già in parte oggetto di finanziamento. Allora, la domanda che ci si deve porre oggi è se, alla fine, i progetti infrastrutturali inseriti nel Pnrr non finiscano per produrre una sostituzione dei canali di finanziamento già attivati. Se questo lo si fa per beneficiare di tempi e procedure più snelle, va bene. Ma se è così, allora sarebbe opportuno destinare le risorse liberate dal Recovery all'ammodernamento della rete stradale e autostradale del Sud. Il Piano prevede infatti solo l'impegno di 1,6 miliardi al riguardo e solo per la messa in sicurezza e il monitoraggio digitale di strade, viadotti e ponti. Porto come esempio la Puglia, per stare alla mia regione: perché l'Alta velocità non può arrivare sino a Lecce, uno dei principali poli dì attrazione turistica del Paese? La lettura "minimalista" che emerge dall'attuale versione rischia di ignorare e mortificare le ambizioni di uno spicchio importante territorio. Guardiamo ad esempio ai porti. Il Piano individua in Genova e Trieste i porti-ponte dei traffici da e per il vicino-medio-estremo Oriente tagliando fuori Gioia Tauro, Augusta o Taranto. Sembra insomma che il destino dei porti del Sud sia segnato dal potenziamento per fini prettamente turistici «resistendo maggiormente alla concorrenza dei porti del Nord Africa». Mi chiedo: perché "resistere" e non invece "competere"?

Troppo poco per turismo e cultura, presidente Stefano?
È un altro punto che necessita di un vero rafforzamento. Se si prende il testo si vede subito che è posto in modo eccessivamente modesto, inserito in una cornice fragile e spezzettata, contrariamente alla centralità del tema: perché cultura è sì passato ma è soprattutto futuro, è green e si presta al digitale. Raccoglie ed esprime, insomma, tutti gli obietti che il Next Generation fissa. Ma soprattutto per il nostro Paese rappresenta il 14% del totale delle nostre attività economiche. Se non ora, quando?

Molti osservatori hanno rilevato l'assenza di un disegno di politica industriale.
Confermo: scontiamo da anni l'assenza di una politica industriale che ha segnato per il nostro Paese la perdita di competitività su tutti gli asset strategici. Abbiamo ceduto terreno proprio a causa dell'assenza di un disegno capace di mettere insieme investimenti, innovazione e ricerca, valorizzazione delle principali peculiarità produttive e, non da ultimo, le politiche attive del lavoro. È il momento giusto per recuperare.

Resta che il tema centrale è sempre quello della crescita...
Vero, sarà la crescita il tema chiave con cui misurare i risultati del Next Generation Eu, ma anche verificare la sostenibilità del nostro debito pubblico. Per questo, come ricordato dal professor Draghi in un'intervista a dicembre scorso, è necessaria una valutazione molto attenta del tasso di rendimento dei progetti che saranno finanziati.

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