Il CommentoAmministratori

La riforma della Pa ascolti chi conosce la macchina

di Gaetano Scognamiglio e Francesco Verbaro

La strada sembra segnata per iniziare il cammino di una difficile quanto necessaria riforma della Pa, se anche la Presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen, all’inaugurazione dell’anno accademico della Bocconi, l’ha ricordata come una delle principali da fare in Italia. Opinione che sembra condividere Mario Draghi. Per non fare un buco nell’acqua è bene riflettere sul circolo vizioso che ha portato allo stallo attuale, partendo dalle riforme degli anni 90. Queste hanno introdotto numerosi strumenti di flessibilità (la contrattazione di secondo livello, le collaborazioni esterne e i contratti flessibili, le partecipate), che però sono stati spesso mal gestiti. Dal 2004 si è assistito a una “controriforma” tesa a introdurre controlli meticolosi sulla spesa corrente, che si sono non di rado tramutati in ostacoli alle attività della Pa. Una politica debole, con scarsa capacità amministrativa, incerta capacità di governo e sdrucciolevole conoscenza della macchina pubblica, ha indugiato in un atteggiamento teso a stigmatizzare la Pa, rincarando la diffidenza dell’opinione pubblica.

Lo confermano i compiti assegnati agli Oiv, nati dal fraintendimento che individua nell’organismo il soggetto responsabile di assegnare gli obiettivi, perdendo incredibilmente di vista che è l’organo di indirizzo politico, col suo staff, a doverli stabilire. Dall’incapacità di dare obiettivi rilevanti e misurabili deriva la scarsa attenzione alla qualità del capitale umano e l’inconsistenza dei sistemi di valutazione descritti chiaramente nell’ultimo rapporto di Promo Pa Fondazione.

Per non parlare delle concause che hanno spinto la Pa a porsi in fuga dalle responsabilità, fra cui c’è l’aver inserito nella governance l’Anac, con un’inedita somma di poteri di regolazione, controllo e sanzionatori, che già nella missione, che accorpa appalti e anticorruzione, postula un particolare, quasi esclusivo nesso di causalità fra gli uni e l’altra.

Si deve operare su più fronti. Su una semplificazione, che non sia la ripetizione degli inutili tentativi fatti finora, ma che con la rivoluzione digitale sia capace di innovare nonostante una normazione ipertrofica. Serve una dirigenza e un capitale umano all’altezza, con un reclutamento di qualità, una formazione attenta alle competenze, una contrattazione che sappia remunerare la produttività, il rischio, la responsabilità e il disagio. Un capitale umano attento ai risultati e meno alle procedure, che ha dato dimostrazione del proprio fallimento nella necessità di operare in deroga anche per raggiungere obiettivi modesti. Molte norme costruite sul mito dell’anticorruzione hanno intralciato la capacità di agire della Pa. Non si tratta di dare più poteri alla dirigenza, che già li ha, ma di rimuoverne gli ostacoli all’esercizio. Recentemente si è autorevolmente fatto ricorso all’immagine di «rigenerazione» della Pa. Ma perché ciò avvenga è necessario che chi vi porrà mano conosca o si serva di chi conosce alla perfezione la complessità dell’amministrazione, magari ascoltando la dirigenza, e non solo quella di vertice. Di questa rigenerazione dovrebbero essere destinatari anche i funzionari, che in Italia – come conferma l’Ocse- non hanno la concreta possibilità di fare progressioni di carriera. Occorre riconoscere di più le professionalità costruite sul campo con processi di reclutamento differenziati capaci di selezionare il candidato con esperienze gestionali. Per rimediare alla desertificazione di alcuni ruoli si potrebbe ipotizzare una campagna di reclutamento di figure specializzate da inquadrare tra la dirigenza e l’ultima categoria D, alla cui assenza si sopperisce ora con l’assistenza tecnica. È noto che in alcune Pa ci sono più assistenze tecniche appaltate a grandi catene di consulenti esterni che personale di comparto specializzato. Si dovrebbe pensare a bandi mirati per strappare alle assistenze tecniche le migliori professionalità da immettere stabilmente nella Pa. Il Pnrr potrà essere l’occasione per avere una Pa adeguata e moderna.