Fisco e contabilità

Crisi e manovre, 427 miliardi di deficit extra fino al 2026

In 16 mesi sette scostamenti (2 per le leggi di bilancio) per nuovo indebitamento di cifra pari a circa 4

di Marco Rogari e Gianni Trovati

La vulgata vuole che il governo Draghi in costruzione abbia un compito opposto a quello che nella penultima crisi di sistema della politica italiana fu guidato da Mario Monti: allora, si dice, si trattava di tagliare, oggi invece il compito dell’ex presidente della Bce sarà quello di spendere le «ingenti risorse» comunitarie.

In questa contrapposizione c’è del vero. Ma questo passaggio ha bisogno di essere inquadrato in un contesto più ampio: un contesto nel quale crisi pandemica e manovre hanno portato il governo Conte 2 a mettere a bilancio una spesa sideralmente superiore a quella attesa dal Recovery Plan.

Nei 16 mesi che separano la Nadef alla base della manovra 2020, la prima del Conte 2, dall’ultimo scostamento approvato per finanziare l’ipotetico decreto Ristori 5, il governo uscente e il Parlamento hanno approvato in sette occasioni (due per le leggi di bilancio) deficit aggiuntivo per 426,8 miliardi di euro per gli anni dal 2020 al 2026. Se si vuole considerare invece il periodo “coperto” dal Recovery Plan, cioè il 2021-2026, i miliardi di indebitamento netto aggiuntivo rispetto al programma originale sono 302,6.

La cifra, si diceva, supera di slancio i 209 miliardi che compongono la quota italiana della Recovery and Resilience Facility. Molti dei quali, però, secondo i programmi elaborati fin qui, si limiterebbero a sostituire il debito nazionale per finanziare interventi già previsti nei programmi di finanza pubblica. La quota aggiuntiva portata dal Recovery è rappresentata invece dai 65,4 miliardi di sussidi (grants) e dai 40,7 miliardi di prestiti (loans) destinati a nuovi investimenti. Totale: 106,1 miliardi, cioè circa un quarto dell’indebitamento extra “fatto in casa”. Di cui, appunto, 40,7 finanziati da una parte del maggior deficit.

Il confronto non serve ovviamente a sminuire l’importanza strategica del Piano di ripresa e resilienza che rappresenterà il primo compito del governo in via di costruzione. Anzi: l’occasione è «imperdibile», come l’ha definita mercoledì il Capo dello Stato nell’appello alle forze politiche dopo il naufragio dell’esplorazione di Roberto Fico, anche perché la robusta spinta alla crescita che andrà ricercata con il piano comunitario è indispensabile alla gestione del rientro progressivo dal maxi-debito.

Nel 2020, complice la caduta del Pil appena misurata nell’8,8% dall’Istat, il debito è salito di oltre 22 punti arrivando al 157%. Per quest’anno, come ha spiegato il ministro dell’Economia Gualtieri nella lettera di due settimane fa ai vertici della commissione, si prevede di mantenere sostanzialmente lo stesso livello, e i calcoli informali più aggiornati parlano di un possibile assestamento intorno a quota 158-158,5%. A patto di non allontanarsi troppo dall’obiettivo di crescita al 6% indicato in autunno, più elevato rispetto alle stime più recenti che da Bankitalia all’Istat fino agli organismi internazionali si collocano fra +3 e +4%.

La massa di interventi avviati per contrastare la crisi scatenata dalla pandemia spiega ovviamente una quota rilevante del nuovo deficit. Ma il Covid non è stato il solo motore dell’indebitamento.

Tolta la legge di bilancio 2020, l’ultimo provvedimento dei tempi ordinari, l’altra mossa chiave è stata rappresentata dalla pulizia di bilancio che ha cancellato definitivamente le clausole Iva intorno a cui si era attorcigliata negli anni la politica economica italiana. Una scelta importante, indispensabile per rimettere ordine nei conti, ma costosa: l’addio alla minaccia degli aumenti di Iva e accise ha prodotto da sola 155 miliardi di deficit fra 2021 e 2026, autorizzati con lo scostamento di luglio che ha finanziato anche il decreto intitolato al «Rilancio». In quel provvedimento, il governo aveva anche accorciato il calendario di utilizzo dei fondi per gli investimenti degli enti territoriali: e questa decisione determina larga parte dell’altro maggior deficit prodotto in quell’occasione per gli anni successivi.

Nella stessa tornata di provvedimenti non va dimenticato il decreto liquidità, che ha avviato il sistema dei prestiti garantiti alle imprese. In questo caso non c’è un collegamento diretto con l’indebitamento aggiuntivo, che può però determinarsi nei casi in cui l’aiuto statale dovesse rivelarsi insufficiente alla tenuta in vita dell’impresa, facendo scattare la garanzia e quindi un ulteriore impatto diretto sui saldi di finanza pubblica.

A chiudere la serie sono intervenuti i 32 miliardi, tutti sul 2021, decisi poche settimane fa per dar vita al nuovo decreto «ristori». Con una griglia che spazia dai nuovi aiuti al rifinanziamento della Cassa integrazione fino ai sostegni a Regioni ed enti locali: griglia che ora torna inevitabilmente in discussione.

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