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Trasporti: su Uber, pendolari e Alta velocità la politica ascolti il «regolatore»

di Giorgio Santilli

Sull’alta velocità, il taglio immediato del 35% (e nel lungo periodo del 60%) del canone pagato dalle imprese ferroviarie a Rfi per l'uso dell'infrastruttura ha contribuito al risanamento e al rilancio di Ntv, quindi al mantenimento di un bene comune essenziale qual è la concorrenza su un servizio decisivo per il sistema della mobilità nazionale. Sul trasporto pendolari, gomma e ferro, invece, sette Regioni hanno avviato gare sulla base di criteri dettati dall'Autorità dei trasporti per evitare il ripetersi del fallimentare approccio alla competizione «per il mercato» degli anni 90. Allora furono pseudo-gare che confermarono quasi sempre le gestioni esistenti e che oggi si dovrebbero scongiurare. Esempi per dire che non di rado la regolazione ha aiutato, ha sostenuto, ha orientato le scelte del decisore politico, garantendo un vantaggio per il mercato, per i passeggeri, per un Paese che voglia evolvere verso la modernità in uno dei settori, quello della mobilità, che più risentono di interessi corporativi, resistenze al cambiamento, assetti sclerotizzati, barriere all'ingresso. È quello che il presidente dell'Autorità dei trasporti, Andrea Camanzi, che oggi terrà la sua relazione annuale al Parlamento, chiama «sincronizzazione fra regolazione e decisioni politiche», sostenendo che è proprio questa «sincronizzazione» spesso a rendere possibili le decisioni che modificano assetti consolidati.

I risultati del lavoro svolto dall'Autorità si vedranno nel corso dei mesi e degli anni perché «anche la regolazione ha un ciclo industriale e ha bisogno di anni per produrre a pieno gli effetti voluti», dice Camanzi che festeggia i tre anni dell'Autorità. In effetti – come nota un'altra Autorità, l'Antitrust in una indagine diffusa ieri – se restiamo sul trasporto locale, c'è ancora «scarsa concorrenza, poche gare, servizi scadenti». A conferma che il lavoro da fare è molto.

La strada, però, è quella giusta, dopo anni di "sonno" in cui la politica ha preferito non vedere i gravi danni prodotti dagli assetti di mercato fondati sull'in house o su criteri di gara che tutelavano solo l'incumbent. E il valore di questo circolo virtuoso – che aiuta a sottrarre la politica e la discussione pubblica al dilagante populismo – è confermato dalla riforma del trasporto pubblico locale voluta dal ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, se è vero che quella riforma (in corso di approvazione) ha per la prima volta il coraggio di aggredire il nodo dei «costi storici», vale a dire la distribuzione di contributi pubblici a regioni e comuni sulla base di uno schema cristallizzato alla data del 1981. Con la riforma, una prima quota di quei contributi si distribuirà tenendo conto dell'offerta di servizi e dalla domanda soddisfatta. D'altre parte, proprio Delrio è un sostenitore della "santa alleanza" fra politica e regolazione, purché ciascuno faccia il suo mestiere e l'obiettivo sia di maggiore efficienza del sistema.

In altri casi, però, questo circolo virtuoso, questa «sincronizzazione» fra regolazione e decisione politica non c'è e allora la politica arranca, avalla il mantenimento di incrostazioni che frenano la modernizzazione e il cambiamento. Per problemi di consenso o per evitare tensioni sociali, accantona, rimanda, prende tempo. Si pensi al «caso Uber» dove per prima l'Autorità guidata da Camanzi ha chiesto una legge per regolare le piattaforme digitali proponendo una netta separazione fra quelle usate per i «servizi commerciali» (che devono avere vincoli fiscali, contrattuali e di tutela dei consumatori) e quelle usate semplicemente per la condivisione di mobilità fra utenti e cittadini. La «sharing economy» sarebbe stata così legittimata e al tempo stesso sottoposta a regolazione, distinguendo per esempio servizi non di linea che pure godono di diritti di servizio pubblico (come il taxi) da servizi non pubblici.

Le proposte di legge in Parlamento procedono a ritmi blandi, ma è stata la commissione Ue a dare uno scossone dettando linee-guida (contenenti l'inedita minaccia di ricorso alla Corte di giustizia rivolta ai Paesi che non adempiono). «Se il nostro atto di segnalazione fosse stato accolto – dice Camanzi – ci sarebbe stata una evoluzione della mobilità, ma mi rendo conto che su un tema così fortemente disruptive i singoli Paesi faranno un passo avanti solo se la commissione Ue farà un passo avanti. Non è materia che un singolo Paese riesca a regolare da solo».

Ci sono poi altre frontiere. La più rilevante – su cui oggi batterà molto Camanzi – è il riconoscimento di diritti ai passeggeri secondo il modello del «private enforcement». Riconoscimento di diritti come quelli degli abbonati all'Alta velocità – o in prospettiva non troppo luna quelli degli abbonati al trasporto locale – che non tanto puntano al risarcimento degli utenti danneggiati quanto a evitare comportamenti scorretti da parte delle aziende. Correttivi al sistema che troppo spesso ignora chi del servizio usufruisce.

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