Personale

Atenei avanti su smart working e «diversity»

Con la pandemia il 100% delle università ha attuato modalità di lavoro ag

di Eugenio Bruno

C’è un comparto della pubblica amministrazione che si candida a essere un laboratorio di sperimentazione. Su temi cruciali come lo smart working, l’efficienza gestionale, le politiche di diversity. Stiamo parlando delle università italiane che, anche durante l’emergenza sanitaria, si sono rivelati ambienti di lavoro stimolanti e flessibili. Almeno stando a un’indagine che il Codau (il Convegno dei direttori generali delle amministrazioni universitarie) ha commissionato a Deloitte e che è stata presentata ieri in un webinar.

Lo studio ha indagato oltre 22mila soggetti dell’area tecnico-amministrativa coinvolgendo 32 atenei, ossia il 44,8% del sistema universitario. Della lista fanno parte grandi atenei come la Sapienza di Roma, l’Alma Mater di Bologna e l’università di Padova, ma anche politecnici (Milano e Torino), istituti di alta specializzazione e università per stranieri.

Primo tema investigato: il lavoro agile. Alla sfida che la pandemia globale ha lanciato al mondo del lavoro, pubblico e privato, gli atenei italiani hanno risposto con efficienza: nel 100% dei casi analizzati hanno messo in atto forme di smart working (in realtà, il 66,7% lo aveva già introdotto prima dello scoppio della pandemia), dotando il proprio personale dei supporti tecnologici necessari e lanciando iniziative di e-learning. Andando anche oltre la gestione tout-court dell’emergenza. Il 68% del campione, infatti, ha adottato meccanismi per valutare l’efficacia dell’ex telelavoro, con l’obiettivo esplicito di flessibilizzare le forme organizzative da applicare in un futuro che noi tutti speriamo prossimo. E, forse proprio in quest’ottica, quasi il 40% ha adottato una formazione specifica per i propri dipendenti.

Altro argomento emerso dall’analisi di Deloitte è la capacità di resilienza delle istituzioni universitarie: la maggior parte ha integrato e modificato i propri obiettivi pluriennali a seguito della crisi. L’89,3% degli atenei che hanno partecipato allo studio ha dichiarato di«voler “essere più concentrati sulla soddisfazione degli studenti» e l’82,1% ha detto che ritiene importante «continuare ad operare in modo più virtuale».

In questo solco la survey fornisce anche alcune indicazioni sul futuro del supporto tecnico e amministrativo negli atenei. Cala l’importanza percepita delle competenze manageriali più tradizionali (performance management, formazione e sviluppo, organizzazione) e cresce l’attenzione verso nuove tematiche (people analytics, piani di successione, future of work) orientate alla capacità di pianificazione in ambiente incerto, alla gestione dei talenti, alla progettazione di modelli operativi e alla comprensione dei processi decisionali e delle scelte strategiche e di business.

Tutto ciò in un comparto che vanta, da un lato, il rapporto più basso dirigente/dipendenti di tutta la Pa (uno ogni 166) e, dall’altro, un ambiente fortemente caratterizzato dall’equilibrio di genere. Le donne impiegate corrispondono al 59,5%, in crescita negli ultimi anni del 2 per cento. Contemporaneamente l’87,5% degli atenei ha messo in atto iniziative volte a favorire diversità e inclusione; tra le principali: sensibilizzazione all’uguaglianza di genere (95,2%), utilizzo di “quote rosa” nei processi di selezione e promozione (42,9%) e analisi sistematica di eventuali gap retributivi (38,1%).

Fin qui lo stato dell’arte. Ma dal Codau, attraverso le parole del suo presidente Alberto Scuttari, arriva anche una lista di “compiti a casa” da attuare a stretto giro per permettere al sistema universitario, se possibile, di diventare ancora più competitivo: «Promuovere buone pratiche, puntando su competenze aggiornate e su nuovi strumenti di incentivazione delle persone, al fine di guidare la ripresa attraverso l’innovazione e la sostenibilità. Emerge la necessità - aggiunge - di un potenziamento di dirigenti, quadri e nuove competenze che permettano al sistema educativo dell’alta formazione di poter dare il massimo contributo alla formazione dei giovani». Un compito in più per il futuro ministro dell’Università.

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