Il CommentoPersonale

I maxi concorsi e le retribuzioni piatte fanno la «cattiva Pa»

In qualsiasi organizzazione la qualità del capitale umano è considerata centrale. Tranne che nella Pa

di Francesco Verbaro

Non c'è documento o discorso politico che non parli di lotta alla burocrazia. Ma che cosa è la burocrazia? In passato si intendeva un corpo tecnico capace di esprimere un potere. Oggi quando facciamo riferimento alla burocrazia, ci riferiamo a un blocco farraginoso di norme, prassi e comportamenti che provoca un rallentamento nel processo decisionale e nell'erogazione dei servizi. In realtà, si è affermata una cultura burocratica in senso patologico, ben consolidata e diffusa, che si manifesta con la difficoltà a innovare affermando al contempo la comodità del precedente, l'attenzione spasmodica alla forma, l'autoreferenzialità nell'agire. La burocrazia non incide solo sulla velocità del processo decisionale, ma sull'utilità dell'intervento amministrativo appesantito da un modo fordista di gestire il procedimento (istanza, allegati, istruttoria, eccetera) che oggi si rivela assurdo e inutile nell'era della mappatura e profilazione di cittadini e operatori economici e dei big data. Esiste una buona burocrazia, ma purtroppo offuscata e sovrastata dalla cattiva burocrazia.

Chi sono i responsabili della «cattiva burocrazia»? La politica e i burocrati, ma anche sindacati e magistrature. È così difficile individuare un solo responsabile ma è facile scaricare la responsabilità su una delle tante cause, soprattutto oggi in un mare di norme e regolamenti alimentato da correnti alterne di semplificazioni e controlli e da una pluralità di livelli e centri di amministrazione. Comunque le diverse forze in campo sono tutte rivolte verso un unico fine: ridurre ogni forma di discrezionalità e quindi di flessibilità. La cattiva amministrazione fa perdere tempo, la buona amministrazione invece utilizza il tempo strettamente necessario per apportare un miglioramento nella decisione e non solo per il diretto beneficiario.

Che fare? Oltre a rivedere il nostro bicameralismo paritario, con un Parlamento sempre più registratore di atti del Governo, e a rivedere i rapporti tra Stato e Regioni, rafforzando l'intervento sostitutivo dello Stato, occorre migliorare la programmazione e la qualità del capitale umano. Inoltre, le nuove tecnologie, che bene applicate ci avrebbero aiutato durante la fase dei decreti legge Covid-19, di erogazione delle indennità e incentivi, sono necessarie per avviare un vero processo di modernizzazione. Per la programmazione dei fondi Ue ordinari e straordinari, servono tecnostrutture adeguate. Quindi meno amministrativi e generalisti e più tecnici, come economisti, statistici, informatici, sociologi, eccetera.

È in grado la pubblica amministrazione di reclutarli e di retribuirli adeguatamente? Al di là della volontà, certamente non aiutano i concorsi «monstre» da 2-3.000 posti con lauree generiche, né il sistema di classificazione economica che non prevede un inquadramento giuridico economico adeguato per attrarre le professionalità tecniche (poche) presenti sul mercato. Deve essere chiaro, inoltre, che le retribuzioni uguali per tutti non consentono di trovare gli anestesisti, i chirurghi di urgenza, i docenti per le sedi disagiate e i dirigenti per gli uffici con maggiori risorse e responsabilità. Su questo aspetto c'è un consolidato appiattimento culturale, che è difficile superare. Comodo per chi non vuole perdere like e per chi rifugge le fatiche della gestione meritocratica. In qualsiasi organizzazione la qualità del capitale umano è considerata centrale, tranne che nella Pa, nella quale l'unico ragionamento che si riesce a fare riguarda il numero dei dipendenti, pochi o molti, e se il bando garantisce una procedura celere e a prova di ricorsi. Le diverse norme di deroga e semplificazione sui concorsi contenute nei decreti legge degli ultimi mesi fanno pensare che il problema sia quello di rioccupare le scrivanie del personale cessato senza alcuna attenzione sulle competenze. Vediamo, al contempo, come i progetti presentati per utilizzare il Fondo Recovery Fund soffrono della mancanza di questo supporto tecnico.

Inutile, infine, ripetere il mantra sull'importanza della pianificazione se i documenti di programmazione oggi predisposti sono deboli e si rivelano poco rilevanti rispetto al contesto. Basti pensare che le direttive annuali e i piani della performance, quelli adottati all'inizio dell'anno 2020, non sono stati modificati nonostante il profluvio di decreti e lo stravolgimento del quadro economico e sociale (cfr www.performance.gov.it) derivanti dalla pandemia. Molti di questi documenti devono essere ancora adottati a settembre. Anche qui è giusto ricordare che la responsabilità è in gran parte della politica, che in base alle norme deve emanare gli indirizzi, i programmi e fissare gli obiettivi. Attività ampiamente trascurata dai vertici di governo e dai propri staff e delegata solitamente agli Oiv, che avrebbero per legge un compito diverso, certamente non quello di mettere a posto le carte di una governance deficitaria. Eliminiamo alcuni di questi programmi e, introduciamo sanzioni serie e applicabili per chi non li adotta. In mancanza di un'etica del buon governo e di una «buona burocrazia».