Fisco e contabilità

Decreto Pnrr-ter, salta la proroga dello scudo erariale

Il governo studia correttivi sulle concessioni portuali per facilitare l’ok alla rata

di Manuela Perrone e Gianni Trovati

Il timore di altri inciampi dopo la battaglia sul condono fiscale fa tramontare la proroga dello scudo erariale fino al 2025 proposta da Fdi, ma contestatissima dalla Corte dei conti anche nell’inaugurazione dell’anno giudiziario davanti al capo dello Stato. Di quell’emendamento, come emerso negli incontri ieri al Senato tra i ministri Fitto e Ciriani e i gruppi al lavoro in commissione Bilancio sul decreto Pnrr 3, sarà chiesto il ritiro. Mentre si studia un pacchetto di modifiche dell’Esecutivo, in particolare sulla riforma delle concessioni portuali contestata dalla Ue, con l’obiettivo di appianare la strada alla terza rata da 19 miliardi ancora in discussione a Bruxelles.

Per queste ragioni, la conversione del Dl si prende altro tempo e i voti in commissione non cominceranno prima di martedì. Da Fitto sono arrivate aperture anche sulle richieste degli enti territoriali su stabilizzazioni e nuove semplificazioni. Non tutto potrà trovare spazio in questo provvedimento, ma all’orizzonte già spunta un nuovo decreto per intervenire sui meccanismi che ruotano intorno all’attuazione del Piano.

Si naviga a vista, tra strappi continui e altrettanti tentativi di riconciliazione. Questa altalena è in azione in Europa, da dove ieri è arrivato un tentativo di schiarita. Il rinvio di un mese per il disco verde alla terza rata da 19 miliardi collegata ai 55 obiettivi del secondo semestre 2022 «è un segnale d’attenzione», ha spiegato il Commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni, intervenendo in videocollegamento al Rome Investment Forum promosso da Febaf. «Ricordo che una decisione analoga è stata presa per altri 7-8 Paesi. Il senso di questa verifica non va troppo esagerato». Acqua sul fuoco delle polemiche di questi giorni. Assieme a un’esortazione: «Nessuno ignora le difficoltà di attuazione, ma tutti dobbiamo concentrarci sullo sforzo per superarle».

Poco prima, nel consueto punto stampa a Bruxelles, la portavoce della Commissione aveva usato gli stessi toni distensivi, evidenziando i «progressi positivi» registrati «per il momento» dall’Italia. Questo non significa che tutto è chiarito: gli interventi per gli stadi di Firenze e Venezia «non erano parte del Recovery Plan iniziale» (e infatti sembrano destinati a saltare). Più in generale, la Commissione sottolinea che, poiché diversi investimenti saranno attuati a livello locale, «migliorare la capacità amministrativa è fondamentale, per assicurare un assorbimento soddisfacente dei fondi».

La capacità di spesa resta l’incognita principale. Fitto ha ripetuto che il Governo «lavora di concerto» con la Commissione Ue e ha auspicato che venga considerata «rilevante» la «specificità italiana», ossia il fatto che siamo il Paese con il più grande Piano di ripresa e resilienza e tra i Paesi con i più ampi programmi di coesione. Come a dire: i nodi strutturali che il Pnrr si propone di aggredire sono gli stessi che ne ostacolano l’attuazione. Ma se fallisce l’Italia - è il sottotesto - fallisce l’Europa.

La soluzione invocata è sempre la stessa: flessibilità nell’uso dei fondi, per poter spostare sulla coesione, che viaggia fino al 2029, i progetti del Piano irrealizzabili entro il 2026. «Un’opportunità che può permettere al Paese di reggere l’urto della fase complessa che abbiamo di fronte», ha detto Fitto, citando il nuovo Patto di stabilità che sarà attivato dal 2024. «La tenuta del mercato unico potrebbe essere messa alla prova», ha avvertito.

Soltanto nella cabina di regia di martedì scorso è però arrivata la preoccupata chiamata alle armi di Fitto ai colleghi, invitati a presentare in tempi rapidissimi una «risonanza magnetica» di tutti i progetti da qui fino alla scadenza del Piano. La Commissione si aspetta di ricevere entro fine aprile la proposta di revisione del Pnrr, insieme al capitolo aggiuntivo del RePowerEU, ma a Roma cercheranno di strappare almeno un mese in più.

Il fattore tempo è parte della trattativa, e dei risvolti politici. «Vorrei ricordare che noi siamo al Governo da quattro mesi e non da quattro anni», ha ribadito di nuovo Fitto. Scontata la levata di scudi delle opposizioni, dal Pd ad Azione, con Elly Schlein che rinnova la richiesta a Fitto di riferire subito in Parlamento e Carlo Calenda che punge: «Meloni scarica su Draghi, dicasi Draghi, i problemi del Pnrr, quando Draghi va solo ringraziato».

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