Personale

Istituzione della dirigenza in un Comune, rebus limite 2016

Per la Corte conti Lombardia può consentire una rideterminazione figurativa del tetto di spesa

di Gianluca Bertagna e Davide d'Alfonso

La prima istituzione della qualifica dirigenziale presso un Comune, effettuata utilizzando i maggiori spazi assunzionali derivanti dall'applicazione dell'articolo 33, comma 2, del Dl 34/2019, può consentire una rideterminazione figurativa del tetto di spesa del 2016, capace di ospitarne il salario accessorio. Così si esprime la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con la deliberazione n. 211/2022.

Il quesito posto da un Comune, intenzionato a introdurre per la prima volta le figure dirigenziali nella propria organizzazione, ricalca quello indirizzato tempo addietro da un'altra amministrazione comunale alla sezione Sardegna. Il tema è presto riassunto: se i maggiori spazi assunzionali concessi al Comune "virtuoso" dal Decreto Crescita gli consentono di finanziare l'assunzione e la remunerazione di personale con qualifica dirigenziale, previa modifica della macrostruttura dell'ente e innanzitutto statutaria, come potrà quello stesso Comune, poi, remunerare il trattamento accessorio dei dirigenti nel rispetto del limite ex articolo 23, comma 2, del Dlgs 75/2017 al trattamento accessorio? L'attuale importo del limite, formato dal solo salario accessorio dei dipendenti e delle posizioni organizzative, non è capace, evidentemente, di contenere anche la più elevata retribuzione dirigenziale anche se, a ben vedere, una riorganizzazione a favore della dirigenza con una riduzione delle posizioni organizzative potrebbe creare l'adeguato spazio nel rispetto della norma.

La risposta dei giudici lombardi ricalca quella offerta dalla Sezione Sardegna con la delibera n. 27/2021: l'ente potrà procedere a rideterminare il limite 2016, in sostanza aggiungendovi le quote necessarie a sostenere il salario accessorio dei dirigenti. Non esistendo un parametro storico rispetto al quale applicare le regole sull'adeguamento del limite secondo le disposizioni dell'articolo 33, comma 2, ultimo periodo, l'ente potrà utilizzare quale valore figurativo di riferimento un importo calcolato come media di quelli riconosciuti da altri enti consimili. La regola, sottolineano anche questa volta i giudici contabili, è quella prevista dall'Aran e ufficializzata ora all'articolo 57, comma 5, del Ccnl dirigenziale del 17 dicembre 2020.

Tutto sembra semplice e lineare. Restano però criticità evidenti: innanzitutto, proprio in riferimento a quanto affermato dall'Aran va detto che il contenuto del parere citato anche dai magistrati riguarda le modalità di calcolo per quantificare il fondo delle risorse decentrate dei dirigenti e non certo le modalità applicative del limite al trattamento accessorio, tema che sfugge, peraltro, alla disciplina contrattuale.

La Corte dei conti, inoltre, sembra dimenticare una regola granitica, un tassello fondamentale, sempre affermato dalla stessa magistratura contabile in materia di contenimento di spese e di limiti, ovvero l'impossibilità di conteggiare nei parametri di riferimento spese fittizie, non reali, puramente virtuali. Anche in passato lo Sezioni regionali avevano ipotizzato l'individuazione di limiti che si modificavano in base a spese non effettive; la Sezione Autonomie, però, con la deliberazione n. 27/2013 aveva chiuso ogni possibilità. Concedere oggi di rideterminare un limite svincolato da una spesa reale appare quindi molto rischioso e in contrasto con i precedenti orientamenti.

Un'altra criticità va associata al meccanismo di calcolo dell'eventuale adeguamento del limite, delineato con chiarezza dalla Nota 12454/2021 della Ragioneria generale dello Stato, che consente tale innalzamento (provvisorio e mutevole nel tempo) in caso di un aumento della dotazione organica ricavabile dal computo dei dipendenti in servizio nell'anno corrente e sulla quota media pro capite dell'accessorio 2018. Ipotesi, questa, che non si presta affatto a un conteggio meramente additivo e slegato dalla realtà dei numeri dell'ente come quello per "benchmarking" che le due delibere citate assumono come parametro.

Da ultimo, vige tuttora l'articolo 1, comma 557, lettera b), della legge 296/2006 (non derogato neppure per gli enti "virtuosi" dall'articolo 7 del Dm 17 marzo 2020), che prevede che gli enti debbano procedere alla "razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con l'obiettivo di ridurre l'incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organici". Anche qui in passato, più volte, la Corte dei conti ha ricordato che le lettere dell'art. 1 comma 557 citato non sono norme di principio, ma di diretta applicazione. Come la ratio di questa norma cristallina possa conciliarsi con l'ipotesi di un Comune, magari di modeste dimensioni, che senza nulla mutare nelle attività svolte e nelle funzioni gestite, si doti di una schiera di dirigenti facendo esplodere, seppure nei limiti dei propri spazi assunzionali, la spesa di personale e quella per il trattamento accessorio, è un dubbio che sarebbe interessante chiarire.

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