Appalti

La vendita con gara non salva l'affidamento dell'ex in house - Dalla Ue colpo alle aggregazioni

La pronuncia dei giudici del Lussemburgo sollecitati dal Consiglio di Stato

di Stefano Pozzoli

Le società in house cedute a soggetti privati perdono l’affidamento del servizio anche se l’acquirente è scelto tramite una procedura competitiva. Questa, in breve, è la risposta della sentenza nella causa C-719/20 della Corte di giustizia europea al Consiglio di Stato italiano, che le aveva poso il quesito nel corso di un contenzioso tra un comune ex socio di una società a suo tempo ceduta a una società quotata, che per altro ne aveva così assicurato il salvataggio.

Il Consiglio di Stato aveva, in sostanza, chiesto alla Corte di giustizia se l’affidamento, originariamente diretto in quanto rivolto a società in house, potesse essere mantenuto, a fronte del fatto che il nuovo socio fosse stato individuato con una gara.

A fronte di una normativa nazionale e anche, fino ad oggi, di una giurisprudenza, unanimemente concorde in tal senso, la risposta della Corte di giustizia Ue va in ben altra direzione, ponendo quindi un pesante ostacolo a ogni prossimo processo di aggregazione che veda protagonisti i grandi operatori del settore. Per il giudice comunitario, infatti, «la direttiva 2014/24/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/Ce deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa o a una prassi nazionale in forza della quale l’esecuzione di un appalto pubblico, aggiudicato inizialmente, senza gara, a un ente “in house”, sul quale l’amministrazione aggiudicatrice esercitava, congiuntamente, un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi, sia proseguita automaticamente dall’operatore economico che ha acquisito detto ente, al termine di una procedura di gara, qualora detta amministrazione aggiudicatrice non disponga di un simile controllo su tale operatore e non detenga alcuna partecipazione nel suo capitale».

Secondo il giudice europeo, quindi, rileva il momento genetico dell’affidamento che, essendo in house, deve restare tale, pena la sua decadenza: «nell’ipotesi in cui un appalto pubblico sia stato attribuito, come nella fattispecie in esame, senza indizione di una gara (…) l’acquisizione di detta società da parte di altro operatore economico, durante il periodo di validità dell’appalto in parola, è tale da costituire un cambiamento di una condizione fondamentale dell’appalto che necessiterebbe di indire una gara». Mentre, al contrario, la circostanza che l’acquirente sia stato selezionato «dai comuni che detengono tale società, al termine di una procedura di gara pubblica, non modifica siffatta conclusione».

In sostanza un affidamento in house può mantenersi solo se il processo di aggregazione veda come attori solo società in house providing, e se nella compagine societaria del nuovo soggetto siano presenti anche i comuni soci della azienda ceduta, e non se partecipino alla fusione anche società quotate o, comunque, a partecipazione privata.

Nel prendere atto di questa posizione, e in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato, viene da riflettere sul portato di una decisione siffatta, che di fatto rischia di deprimere il valore delle partecipazioni pubbliche: chi mai sarà interessato alla acquisizione di una società pubblica sapendo che tale azienda viene ceduta priva di affidamento?

Tutto ciò rende ancora più urgente intervenire, nel quadro della oramai prossima delega per la riforma dei servizi pubblici locali, alla definizione di regole chiare e definite per i processi di aggregazione e per le operazioni di natura straordinaria nell’ambito delle società a partecipazioni pubbliche.

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