Fisco e contabilità

Extraprofitti dell’energia, inciampo Gse sulle fatture in reverse agli enti locali

I documenti su operazioni inesistenti vanno sostituiti con note di accredito

di Tamara Bersignani e Alessandro Garzon

Stanno creando problemi le fatture emesse in reverse charge dal Gse negli ultimi giorni, a rettifica del prezzo delle cessioni di energia elettrica prodotta, dal febbraio al luglio di quest’anno, da impianti fotovoltaici superiori a 20Kw gestiti da enti locali e da altri soggetti come le imprese agricole.

Il Gse si è mosso in adempimento dell’articolo 15-bis Dl 4/22 che, in sostanza, prevede di prelevare gli extraprofitti realizzati dai venditori di energia elettrica a seguito dell’aumento dei prezzi, per poi destinarli alla riduzione degli oneri generali di sistema.

Il prelievo degli extraprofitti riguarda in particolare gli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 20 Kw che beneficiano degli incentivi del conto energia (ad eccezione degli impianti del V conto energia, che hanno tariffe omnicomprensive).

Il Gse si è mosso con tempestività. L’emissione di fatture in reverse è volta a favorire un rapido recupero degli extraprofitti, tant’è vero che la documentazione ricevuta dagli enti locali ricomprende l’avviso pagoPA.

Tuttavia è proprio lo strumento utilizzato, la fattura, a non essere corretto sotto il profilo fiscale. Se facesse riferimento a una sottostante cessione di energia da parte del Gse (il che, ovviamente, non è), la fattura non andrebbe emessa in reverse charge, dal momento che l’ente locale non rientra fra i soggetti che, in quanto rivenditori di energia, sono destinatari di fatture in reverse ex articolo 17, comma 6, lettera d-quater del Dpr 633/72.

Se invece, come riportato nella descrizione dell’operazione, la fattura fosse destinata a rettificare, in diminuziogne, le precedenti fatture emesse dai Comuni, si tratterebbe di una «fattura rettificativa» di una precedente operazione effettuata dalla controparte, comunque svincolata da una sottostante cessione o prestazione di servizio: uno strumento cui il Gse ha ritenuto di dover fare ricorso in sostituzione di quello usuale, e corretto, rappresentato da una nota di credito emessa dall’ente.

In effetti, già l’ipotesi di una nota di variazione emessa dal cessionario/committente non trova riscontro nella prassi, se non (forse) in un’unica risposta a interpello, la n. 436/19, dove è stata negata a un ente locale la possibilità di emissione del documento a rettifica di una fattura d’acquisto sul presupposto che lo split payment non fa venir meno la qualifica di debitore d’imposta in capo al cedente; ragionando a contrariis, questa chance potrebbe forse essere ammessa nei confronti di soggetti destinatari di fatture in reverse, i quali restano effettivamente identificati come debitori d’imposta.

Di fatture rettificative non sembra esservi alcuna traccia (quantomeno) nella prassi ministeriale.

A questo punto sembra doversi trarre la conclusione per cui il Gse ha emesso fatture per operazioni inesistenti. Esse ben possono essere rifiutate dagli enti locali nell’ordinario termine di 15 giorni dal ricevimento, perché si realizza una delle cause di rifiuto previste dal Dm 132/20, quella di una fatturaPA riferita a un’operazione che non è stata posta in essere nei confronti del soggetto ricevente.

Questo non significa che alle richieste del Gse non si debba dare risposta positiva. Allo scopo, l’ente locale dovrà attivarsi nei confronti del Gse per l’emissione di una nota di accredito in reverse charge di ammontare uguale a quello della fattura ricevuta. Alla determinazione di assunzione dell’impegno di spesa verrà poi dato seguito attraverso il riversamento al Gse dell'importo della nota di accredito.

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