Urbanistica

Il Recovery sia un'occasione di crescita a misura delle piccole e medie imprese

L'INTERVENTO. Evitare accorpamenti surrettizi di opere pubbliche che sono il naturale mercato delle Pmi

di Edoardo Bianchi (*)

Il Pnrr è salpato ed è ora al vaglio del decisore europeo; le prossime settimane saranno decisive per comprendere come le previsioni del Recovery Plan potranno accompagnare la rinascita del nostro Paese. I progetti sono stati individuati e le risorse attribuite con copiose schede di dettaglio. Quanto alle regole per fine maggio avremo un Semplificazioni-bis che ci auguriamo, intervenendo sulle procedure autorizzative a monte della gara, consentirà una rapida e trasparente apertura dei cantieri. È prossimo alla partenza anche il piano dei 29 commissari per 83 miliardi di euro con 57 opere suddivise in 150 lotti.

Come Ance, per il comparto dei lavori pubblici, non condividiamo la idea tralatizia ed intendiamo tornare su un tema che negli ultimi tempi con troppa semplicità ha subito strattonamenti ed è stato oggetto di pressioni non sempre disinteressate. Intendiamo partire dal tema delle dimensioni delle imprese italiche sia nel campo della Industria che in quello dei Servizi; per fare ciò è necessario iniziare dalla attuale fotografia dello stato dell'arte e poi comprendere e, quindi, analizzare criticamente i contorni di questa immagine:
a) In Italia operano circa 4.400.000 di aziende che occupano circa 17.300.000 lavoratori, con una media di 4 addetti ad impresa. Solo lo 0,60% di aziende occupa oltre 50 addetti.
b) In edilizia il 95% delle imprese occupa fino a 9 addetti con un fatturato che non supera 1.000.000 di euro.

In Europa le definizioni di micro/piccola/media impresa ci dicono che la micro impresa occupa fino a 10 addetti, la piccola fino a 50 addetti e la media fino a 250 addetti. Secondo la classificazione europea siamo un Paese di micro/piccole imprese. È un problema? Non crediamo.

Dobbiamo indagare le cause di questo dimensionamento delle imprese, consolidatosi negli anni, e comprendere se possa rappresentare una risorsa o un vulnus. Intendiamoci, è connaturale allo spirito proprio dell'imprenditore voler sviluppare la propria impresa, il proprio fatturato, il proprio mercato; nessuno al momento di avviare un attività si prefigge, ed augura, di non crescere. Per crescere occorrono le condizioni di mercato perché, progressivamente, un imprenditore possa equipaggiare e strutturare la propria azienda per raggiungere risultati più performanti. La patrimonializzazione della impresa intesa in termini di formazione, attrezzature, risorse umane, know-how deve rappresentare la bussola dell'imprenditore. Ma non è sufficiente.

Occorrono condizioni al contorno quali la esistenza di una reale concorrenza, continuità nelle regole di ingaggio, investimenti coerenti, una PA che non ponga lacci ed inciampi, un fisco equo, una giustizia rapida ed efficace; elementi e condizioni, questi, indispensabili per consentire l'affermarsi ed il consolidarsi di una reale economia di mercato che favorisca chi voglia intraprendere. Le condizioni che sopra ricordate fino ad ora non sempre hanno trovato accoglienza e rispetto, tanto da rappresentare la vera scommessa su cui investe la riforma impostata dal governo Draghi.

Non condividiamo l'imperante damnatio contro il sistema delle piccole/medie imprese che hanno rappresentato il motore trainante nella ricostruzione post bellica e che, in virtù della propria flessibilità, meglio di ogni altra categoria imprenditoriale, sono riuscite a rimanere in vita facendo peraltro affidamento esclusivamente sulle proprie forze, senza ricorrere a salvataggi più o meno camuffati da parte della mano pubblica, con aggravi per il contribuente.

La fotografia della imprenditoria italiana sopra ricordata vede il cd nanismo non come causa della "anomala tipicità" del nostro mercato bensì come effetto dello stesso. Quale è poi la portata del termine aggregazione per chi, per capacità e/o possibilità, ha il solo mercato interno come punto di riferimento?

Se aggregare avesse esclusivamente una portata positiva e salvifica perché non lo si applica anche alle forze politiche che siedono in Parlamento o alle testate giornalistiche che non raggiungono un determinato limite di tirature? Sulla determinazione di una soglia minima di ingresso in Parlamento mi sembra che ci siano posizioni discordanti e nemmeno sempre coerenti. Sicuramente gli esempi invocati non sono calzanti, ma sono significativi di un "nanismo positivo" che deve essere salvaguardato e tutelato in tutti i campi; la differenziazione culturale/politica/imprenditoriale costituisce un valore non un peso. Valorizziamo, anche nell'impiego del Recovery, tutte quelle attività che bene si prestano a far progredire e creare un Paese nuovo laddove i confini della sfida risultano idonei alla natura e caratteristiche del particolarismo imprenditoriale italiano.

Vi saranno poi opere e progetti che per dimensioni e capacità necessitano del know-how che pochi hanno e nulla osta a che i pochi colossi internazionali che abbiamo risultino attuatori di quelle iniziative. Senza però che vi siano accorpamenti surrettizi per opere che per natura e dimensione risultano di competenza naturale delle piccole/medie imprese. Sicuramente la realizzazione del Ponte sullo Stretto o il prolungamento della Metro C di Roma necessitano per natura (indivisibilità dei lavori) e complessità (conoscenze ed esperienze tecniche) di player dotati di uno specifico profilo.

Laddove le opere sono suddivisibili in lotti e riguardano interventi manutentivi e/o di implementazione delle infrastrutture esistenti è nell'interesse del Paese che non ci siano sciagurati accorpamenti contro natura. Non chiediamo la creazione di aree protette per alcuno, ma che le migliori qualità dei vari segmenti imprenditoriali possano proficuamente essere utilizzate dal Paese per eseguire bene e nei tempi le opere previste nel Pnrr. Inoltre, la professionalità delle micro/piccole/medie imprese non può essere incanalata prioritariamente, se non esclusivamente, verso il ruolo di subappaltatori, perché, tenuto conto delle condizioni contrattuali ed economiche praticate dai grandi gruppi (non tutti) negli ultimi 25 anni nei confronti dei propri fornitori, non è azzardato affermare che i coltivatori della terra durante il feudalesimo godessero di maggiori condizioni di tutela e garanzia.

(*) Vicepresidente Ance per le Opere pubbliche

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