Il CommentoPersonale

Meno tetti e più programmi per rilanciare la formazione

di Francesco Verbaro

Se il reclutamento della Pa ha mostrato l’impreparazione degli uffici del personale, va evitato che questi uffici perdano le altre sfide della gestione delle risorse umane, che riguardano competenze, carriere, formazione continua e conciliazione vita lavoro.

Occorre avere una policy sulla cura delle risorse umane della Pa, iniziando a rafforzare le competenze degli uffici delle risorse umane con i fondi Ue.

Il reclutamento emergenziale richiede una forte politica di accompagnamento per contenere dimissioni e mobilità. La formazione deve interessare tutto il personale tenendo conto dei fabbisogni e accompagnare l'intero percorso lavorativo. Senza consapevolezza dell’importanza del capitale umano non si può fare alcuna riforma. L’innovazione passa dalle persone oltre che da processi che comunque richiedono competenze nuove sia tra i decisori sia tra gli attuatori. Il 2023, anno europeo delle competenze, arriva a 30 anni dal Dlgs 29/1993, il decreto di privatizzazione del rapporto di lavoro, per il quale le Pa avrebbero dovuto curare « la formazione e l’aggiornamento del personale».

Sulla formazione servirebbe un piano supportato da risorse europee (Pnrr e non solo) e da una regole di favore, abrogando l’unica norma sulla spending review del 2010 ancora vigente che limita la spesa per la formazione al 50% delle uscite 2009. Va inserita nel Piao una sezione destinata alla formazione. Oggi si ragiona in termini aggiuntivi, puntando sul nuovo, dimenticandosi della riqualificazione del personale in servizio.

Molte attività stanno giustamente scomparendo anche nella Pa e ciò richiede processi di riqualificazione. Termine quest’ultimo erroneamente collegato alle progressioni di carriera, percorsi giuridicamente ed economicamente onerosi e vincolati. Invece, deve esistere una formazione continua, non necessariamente collegata a promozioni. Altrimenti l’obsolescenza delle competenze, rischio più frequente oggi, produce perdita di interesse, assenteismo e prepensionamenti. Da qui la necessità di superare una visione burocratica nella gestione delle risorse umane, dove si misurano anzianità, presenze e assenze senza monitorare le competenze, il benessere organizzativo, le difficoltà di inserimento e i rischi di esclusione o di sottoutilizzo. Un buon datore di lavoro si caratterizza per l’attenzione alla formazione e all'aggiornamento continuo. Occorre responsabilizzare tutta la dirigenza sulla gestione del personale. Tanti gli strumenti da utilizzare: assessment periodici, periodo di prova, corsi di formazione mirati, formatori interni e tutor. Per questo occorre investire negli uffici del personale, introducendo competenze diverse (economisti del lavoro, psicologi, data analyst, assessor). Non c’è consapevolezza che il mercato del lavoro sta cambiando radicalmente e soprattutto cambia il comportamento delle ultime generazioni. La certezza del posto o la retribuzione iniziale non sono sufficienti per attrarre e trattenere le risorse umane migliori. Né è immaginabile che possano rimanere 35-40 anni nello stesso ufficio, in un'organizzazione a dir poco taylorista burocratica.