Fisco e contabilità

Catasto, riforma solo «statistica» ma c’è l’incognita valori di mercato

La riforma vuole affiancare ai dati di oggi rendite attualizzate ai livelli reali

di Gianni Trovati

Sulla riforma del Catasto si è giocata una battaglia politica che va assai oltre i contenuti della delega fiscale, in una faglia nella maggioranza che dopo il voto per il Quirinale si è aperta su quasi tutti i temi centrali nell’agenda di governo, dalla gestione della pandemia ai bonus edilizi fino alla riforma degli appalti. E che promette presto una nuova puntata incendiaria sulla ratifica parlamentare dei ritocchi al Mes.

Ma già da sole le 400 parole che compongono l’articolo 6 della legge delega bastano a sollevare argomenti storicamente divisivi nella faticosa «unità nazionale» che sostiene il governo Draghi. Soprattutto su un tema politicamente ipersensibile per l’Italia dei proprietari di casa come le tasse sul mattone. E soprattutto a poche settimane dalle elezioni amministrative e a pochi mesi dalle politiche.

Proprio per questa ragione il governo aveva usato tutta la cautela possibile nel costruire a ottobre il testo della riforma, prospettando una revisione del sistema di calcolo di rendite catastali e valori patrimoniali accompagnato dalla clausola che impedisce ai nuovi dati di essere «utilizzati per la determinazione della base imponibile dei tributi». In pratica, insomma, l’idea sarebbe quella di un ripensamento del Catasto a fini “statistici”. Una statistica che però punta ad «attribuire a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato» (comma 2, lettera a dell’articolo 6).

È ovvio che a guidare il governo verso questo obiettivo non è una sete speculativa di conoscenza. Lo scopo è di far emergere le sperequazioni che si sono stratificate nei decenni in un Catasto ormai ultraottuagenario: in una lotteria che in generale premia gli immobili più vecchi, e i centri storici delle città, e penalizza proporzionalmente le aree più nuove, e le zone dove un mercato asfittico determina nelle compravendite valori anche più bassi di quelli individuati dal Fisco.

Mettere in tabella questo quadro frastagliato, è l’idea di fondo, farebbe vedere che il Catasto di oggi è generoso con alcuni ma severo con altri, e che nel secondo gruppo rientrano mediamente gli immobili nelle zone di pregio minore. E abbatterebbe così l’opposizione preventiva a qualsiasi ritocco alle basi imponibili dell’Imu e delle altre tasse sulla casa che anche ieri si è manifestata in tutta la sua evidenza.

Ma c’è un altro aspetto da ricordare. La delega fiscale non rientra nel «perimetro» del Pnrr, ma è fra le «riforme di accompagnamento» che «devono considerarsi concorrenti alla realizzazione degli obiettivi generali» del Piano, come si legge a pagina 32 del Pnrr. Questo aspetto spiega il no secco a «compromessi al ribasso» ripetuto ancora ieri da Palazzo Chigi agli esponenti dei partiti impegnati in un tentativo di mediazione apparso quasi impossibile fin dalla tarda mattinata, quando la Lega ha proposto un testo che si limitava alla caccia agli immobili abusivi e proponeva un incentivo fiscale per l’assicurazione sul mattone.

Ma questo contesto offre argomenti anche a chi agita il timore di aumenti fiscali generalizzati sul mattone, in un settore già infiammato dal raddoppio secco del peso fiscale prodotto dall’Imu che ha appena compiuto dieci anni (vale poco più di 20 miliardi, contro i 10 della vecchia Ici). Perché l’impostazione della politica economica del Pnrr deve tener conto delle «Raccomandazioni specifiche» rivolte dalla commissione Ue all’Italia nel 2019 e nel 2020. E in quelle del 2019 c’è scritto che occorre «spostare la pressione fiscale dal lavoro, in particolare riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati»: lo ricorda sempre il Pnrr a pagina 27, e lo ribadisce anche la relazione governativa che accompagna la delega (a pagina 15).

Il traguardo, allora, è una redistribuzione dei pesi, con l’«invarianza del gettito» complessivo già promessa in passato ma mai tradotta in meccanismi attuativi, oppure un aumento delle tasse sulla casa per tagliare quelle sul lavoro? La discussione è aperta, e promette di restarlo per molto. Perché la monumentale opera di revisione promette di rendere disponibili i nuovi numeri nel 2026. E sarà il governo di allora a dover decidere come utilizzare il frutto di quei calcoli.

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