Urbanistica

Alla prova il nuovo bonus 90% ma resta il nodo della cessione dei crediti

Ok alla fiducia della Camera, oggi voto finale al decreto. Con le modifiche approvate una cessione in più per le banche e garanzia Sace per la liquidità alle imprese

di Giuseppe Latour e Giovanni Parente

Il superbonus scende al 90% per i condomìni, già dal 2023. E torna, ancora al 90%, per le unifamiliari ma in versione depotenziata e con molte limitazioni. La legge di conversione del decreto Aiuti quater (Dl 176/2022) ieri ha incassato la fiducia della Camera (con 205 voti a favore, 141 contrari e quattro astenuti) e oggi si appresta a ottenere il via libera finale di Montecitorio prima della «Gazzetta Ufficiale».

La notizia è che, nonostante il lungo pressing del Parlamento e delle associazioni di imprese e professionisti, l’impianto immaginato dal Governo nella prima versione del provvedimento, con l’articolo 9 in materia di superbonus, ha sostanzialmente retto, complice la mancanza delle risorse necessarie a imbastire proroghe o allentamenti dei requisiti molto stringenti inseriti nel testo.

Così, per i condomini il 110% diventa 90% a partire dal primo gennaio e per tutto il 2023; scenderà al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025. Per unifamiliari, villette e unità autonome torna il superbonus al 90%, prima non previsto nel 2023, ma solo per quest’anno e solo a condizione di rispettare tre paletti: le spese dovranno essere effettuate dal proprietario o dal titolare di un diritto reale sull’immobile, la ristrutturazione dovrà riguardare l’abitazione principale e il reddito di chi ottiene l’agevolazione dovrà misurarsi con il nuovo quoziente familiare, non superando la quota di 15mila euro.

Resta una coda di 110% fino al 31 marzo per le unifamiliari che abbiano completato il 30% dei lavori al 30 settembre scorso. E, come previsto dalla legge di Bilancio 2023, resta il 110% anche per i condomìni che abbiano approvato una delibera sui lavori entro il 18 novembre 2022, presentando la Cilas entro fine 2022, e per i condomìni che abbiano approvato la delibera tra il 19 e il 24 novembre 2022, presentando la Cilas entro il 25 novembre.

In sede di conversione i cambiamenti di maggiore impatto sono arrivati sul fronte della cessione dei crediti. Puntando a integrare una previsione già presente nella prima versione del decreto: lo spalma crediti. Per i soli interventi di superbonus, i crediti di imposta comunicati entro il 31 ottobre 2022 possono essere recuperati in dieci anni e non più in quattro o cinque. Questo allungamento dei tempi dovrebbe consentire di sfruttare una capienza fiscale maggiore da parte di chi effettua le compensazioni. Il problema, subito sottolineato dal mondo bancario, è che un recupero in più anni si traduce in costi finanziari maggiori. E, quindi, non è sostenibile su larga scala.

Il Parlamento, allora, è andato alla ricerca di altre soluzioni. Ha, così, ripreso il modello della garanzia Sace, già utilizzato durante la pandemia e per contenere gli effetti del conflitto in Ucraina. Le imprese di costruzioni che hanno realizzato interventi legati al superbonus possono ottenere liquidità con garanzia Sace, controgarantita dallo Stato. Questi finanziamenti serviranno a supportare le aziende in crisi perché non sono riuscite a monetizzare i crediti fiscali legati al 110 per cento.

Nel frattempo, per rendere il mercato delle cessioni più liquido, è stato ampliato il numero di passaggi possibili: adesso le cessioni diventano cinque (una in più rispetto alle vecchie quattro). La cessione extra riguarderà solo i passaggi verso banche, società di gruppi bancari, intermediari finanziari, assicurazioni.

Resta da capire se queste misure basteranno a far ripartire il mercato: i crediti bloccati sono, secondo le ultime stime di Cna, oltre 5 miliardi. I dubbi delle imprese, espressi a più riprese dall’Ance durante i lavori parlamentari, restano. E dal mercato non arrivano, almeno per ora, segnali di riapertura degli acquisti da parte di banche e di soggetti come Poste. Anche perché non ci sono state correzioni su uno dei temi più spinosi per gli intermediari: l’impatto sugli acquirenti in buona fede dei sequestri di crediti frutto di sospette frodi. Il rischio, insomma, è che il problema resti aperto, costringendo il Governo a cercare, nei prossimi mesi, l’ennesima soluzione.

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