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Altri 20mila prof pronti a cambiare scuola

La giostra degli insegnanti italiani è po’ come la ruota panoramica di Coney Island che ha segnato l’immaginario cinematografico di intere generazioni: sempre in movimento. Per il terzo anno consecutivo stiamo per assistere a un vero e proprio tourbillon di docenti che vanno e che vengono. Quasi sempre lungo due direttrici: da Nord verso Sud e dalla periferia verso il centro città. Nonostante la «Buona Scuola» prevedesse per gli insegnanti il vincolo triennale di permanenza nella sede di servizio (o di titolarità) anche stavolta viene consentito a decine di migliaia di professori di cambiare istituto, ambito o provincia. Come? Presentando domanda di mobilità solamente online. Quando? Dal 3 al 26 aprile.

Effetti e platea
Per quanto riguarda gli effetti e la platea che potrebbe essere interessata dal nuovo “carosello”. Le prime stime parlano di 80/90mila domande. Un numero inferiore se confrontato con le circa 141mila istanze inoltrate lo scorso anno e soprattutto con le 207mila di due anni fa quando è andata in scena la mobilità straordinaria successiva alla maxi-infornata di precari avvenuta per effetto della legge 107 del 2015.
Di queste 80/90mila domande di trasferimento stimate se ne conta di accoglierne almeno 20mila. Il conto è presto fatto: i posti vacanti e disponibili da turn-over e “residui” degli anni precedenti sono circa 40mila. A questi vanno aggiunte le nuove cattedre che si trasformeranno da organico di fatto in organico di diritto (intorno alle 10mila) in base alle risorse stanziate dai governi Renzi e Gentiloni. Insomma, in tutto 50mila posti, che saranno così distribuiti: il 60% andrà a nuove assunzioni (circa 30mila) e il restante 40% alla mobilità (i rimanenti 20mila). Anche qui un dato in flessione rispetto alle domande accolte negli ultimi due anni: nel 2017/2018 poco più di 61mila, schizzate a oltre 157mila nel 2016/2017. In pratica, nel giro di tre anni, la deroga al vincolo triennale, ha portato quasi 240mila insegnanti a cambiare istituto.
È come se nel giro di un triennio tutti gli abitanti di una città di medie dimensioni come Messina avessero deciso di trasferirsi altrove. Magari al settentrione. Con una differenza però: nel caso degli insegnanti gran parte degli spostamenti si sono verificati lungo l’asse Nord-Sud nonostante gran parte delle cattedre scoperte fossero nell’Italia settentrionale. Dei 22mila prof introvabili l’anno scorso (e tuttora tali) oltre 15mila riguardavano il quadrilatero Lombardia-Piemonte-Veneto-Emilia Romagna.

Le origini del fenomeno
Ma facciamo un passo indietro per capire le origini del fenomeno. In base alla riforma del 2015 i trasferimenti “straordinari” su tutti i posti liberi dovevano avvenire solo nel 2016/2017 per far riavvicinare a casa gli assunti fuori regione. Ebbene, quell’anno, la situazione sfuggì letteralmente di mano: a fronte di 207.330 domande di mobilità presentate ne furono accolte 96.624 su scuola, 61.277 su ambito, generando caos, ritardi, e contenziosi all’avvio della scuola (e a danno degli studenti), complici pure le 27.036 assegnazioni provvisorie concesse dal Miur con “manica larga”. Nel 2017/2018 c’è stato qualche miglioramento: la mobilità è divenuta volontaria, i posti liberi per i trasferimenti sono scesi al 40%
, e c’è stata una stretta sulle assegnazioni provvisorie. Nonostante ciò, nei due anni, si sono spostati comunque 218mila prof.
Alla base di questo meccanismo un accordo integrativo con i sindacati per far ripartire la giostra anche l’anno successivo. Intesa prorogata, poi, per altri 12 mesi, nel dicembre scorso, alla vigilia del nuovo Ccnl che
assicurerà a partire da aprile/maggio un aumento medio in busta paga di 96 euro. Con il paradosso che per gli incrementi stipendiali varrà il nuovo contratto collettivo, mentre per la mobilità si continuerà a utilizzare il vecchio integrativo. Fino al 2019 quando diventerà operativa la “ferma” triennale prevista dalla «Buona scuola». Ma solo per gli spostamenti verso un’altra scuola perché le opzioni da/verso ambito potranno essere esercitate (ancora) annualmente.

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