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Factoring e decreti ingiuntivi illegittimi: nuovo punto a favore degli enti locali

di Luciano Benedetti (*) - Rubrica a cura di Anutel

Un tribunale toscano ha emesso il 2 luglio 2021 una importante sentenza contro una banca italiana specializzata in factoring, nota alle cronache degli ultimi anni per i numerosissimi decreti ingiuntivi intentati, spesso con esiti negativi, nei confronti di enti locali e altre pubbliche amministrazioni.

Il fenomeno ha da tempo suscitato la necessaria reazione non solo dei singoli enti aggrediti ma anche di primarie realtà associative degli enti locali e dei loro funzionari, le quali hanno messo in atto, a tutela delle finanze pubbliche, forme di collegamento e collaborazione per evitare il proliferare di contenziosi frequentemente pretestuosi e talvolta incomprensibili. Ad esempio, nei mesi scorsi Anutel, in considerazione delle numerose segnalazioni ricevute, ha attivato uno specifico servizio di supporto giudiziale e stragiudiziale attraverso il quale richiedere assistenza nei confronti della pratica indebita attuata verso l'ente locale; ed Ifel ha ricevuto, avviando apposita indagine, diverse segnalazioni da Comuni in difficoltà per richieste di società di factoring all'indomani dell'acquisto di crediti vantati verso l'ente e ceduti, nella maggior parte dei casi, da società multiservizi come fornitori di luce o di gas. Queste richieste di pagamento sono talvolta riferite a crediti già saldati ben prima della cessione o per i quali l'amministrazione "ceduta" ha addirittura tempestivamente notificato il rifiuto della cessione nei termini di legge. A queste richieste si accompagna spesso la richiesta di risarcimento delle spese di recupero nell'importo minimo forfetario di 40 euro previsto dalla direttiva 2000/35/CE.

Ma veniamo al caso della sentenza. La banca specializzata in factoring ha emesso nel 2019 un decreto ingiuntivo dichiarandosi cessionaria pro-soluto di un presunto credito di oltre 60mila euro, asseritamente vantato da tre fornitori nei confronti di un Comune, a seguito di tre distinti atti di cessioni di credito. Il Comune, tramite i propri legali interni, ha in primo luogo rilevato la carenza di legittimazione attiva della banca, in quanto la cessione dei crediti non rientra nella generale disciplina del codice civile: data la particolare posizione della parte debitrice (Ente pubblico), si deve applicare la differente disciplina secondo cui il trasferimento di un diritto di credito vantato nei confronti della Pa necessita dell'accettazione dell'amministrazione medesima, cosicché l'avvenuta cessione da parte del cessionario al debitore resta subordinata al consenso espresso dell'ente. Il Comune ha precisato, fra l'altro, di aver versato tutte le somme quale corrispettivo per la fornitura di energia alle società sue fornitrici, di aver rilevato numerosi errori di calcolo nel decreto ingiuntivo (numerose note di credito non erano state scomputate dal presunto ed inesistente debito) e di aver ravvisato che varie note di debito emesse dalla banca per interessi moratori non risultavano conferenti al caso.

Il Tribunale ha osservato che, in effetti, la normativa speciale derogatoria alla disciplina civilistica trova regolamentazione nell'articolo 70 del Rd 2440/1923 che richiama la Legge 2248/1865, precisando che la deroga al principio civilistico di libera cedibilità del credito sembra doversi applicare solo ai contratti di durata, escludendone l'applicazione per i contratti ad esecuzione istantanea. Costante giurisprudenza (Cassazione n. 268/2006; n. 2209/2007; n. 18339/2014) ha infatti ravvisato che il legislatore - nel disciplinare la cessione dei crediti verso la Pa - con il divieto di cessione senza l'adesione della Pa ai rapporti di durata come l'appalto e la somministrazione (o fornitura) ha derogato al principio generale della cedibilità dei crediti senza in consenso del debitore. Secondo il Tribunale, attraverso un'interpretazione restrittiva (Cassazione n. 18339/2014), la disciplina del caso specifico rientra nel contratto di fornitura, nello specifico di energia elettrica intercorso fra le società fornitrici e il Comune, la cui natura è da ritenersi di durata e non a esecuzione istantanea; l'espressa adesione della Pa è richiesta solo durante la fase esecutiva del contratto (articolo 9 legge 2248/1865) che si riferisce ai contratti in corso e dall'articolo 70 del Rd 2440/1923, per cui una volta terminata l'esecuzione del rapporto non sarà più applicabile il potere di veto e si dovrà procedere secondo la disciplina generale del codice.

In merito a quest'ultima eventualità, per inciso, non si può ignorare che nella odierna realtà degli enti locali la sensibile riduzione dei tempi medi di pagamento delle fatture (consolidatasi negli ultimi due-tre anni) fa sì che in genere il pagamento al fornitore avvenga entro poche settimane dal termine dell'esecuzione della fornitura/prestazione; il che rende il ricorso al factoring del tutto superfluo, se non addirittura antieconomico.

Tornando al caso de quo, il Comune non aveva mai concesso espressa adesione alle cessioni, mentre per l'opponibilità della cessione stessa occorreva l'espressa accettazione; con conseguente assorbimento delle altre questioni in punto di merito ed inefficacia del decreto ingiuntivo opposto. La banca specializzata in factoring è così stata condannata a rifondere le spese processuali a favore del Comune.

C'è da augurarsi che sentenze come questa siano fonte di riflessione e contribuiscano a un approccio più ragionevole nei confronti degli enti locali.

(*) Componente consiglio generale Anutel

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