Personale

Ipca al 4,7%, l'inflazione triplica i costi dei contratti nel pubblico impiego

In regioni ed enti locali aumenti e reclutamento extra fanno saltare i parametri di bilancio per le assunzioni

di Gianni Trovati

Per misurare il colpo portato dall’inflazione alla politica dei redditi il pubblico impiego è il termometro più efficace. Perché l’aggancio all’Ipca deciso con la riforma della contrattazione di 13 anni fa riguarda una platea enorme e tendenzialmente omogenea. E i numeri parlano chiaro.

L’applicazione secca dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per il 2022-24, cioè per la prossima tornata contrattuale, moltiplicherebbe di 2,7 volte i costi dei rinnovi rispetto a quelli che si sarebbero determinati con i numeri indicati 12 mesi fa. Tradotto in euro, il tasso cumulato che si attesta al 9,25% imporrebbe di mettere a bilancio, fra Pa centrale e territoriale, fino a 17,5 miliardi. Poco meno del triplo rispetto ai 6,4 miliardi che sarebbero stati chiesti dall’indice quasi piatto (3,4% cumulato nel triennio) ipotizzato l’anno scorso per lo stesso triennio 2022,24, o dei 6,8 miliardi del rinnovo 2019/21 ora in fase di trattativa (è stato chiuso solo il contratto del personale non dirigenziale di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici).

Proprio il ritardo con cui procede la macchina dei contratti nella pubblica amministrazione offre qualche margine in più a chi deve tenere sotto controllo i saldi di finanza pubblica. Perché in genere i fondi per i nuovi contratti vengono stanziati a tappe dalle manovre, in un percorso di accumulo progressivo che si conclude nell’ultimo anno del triennio di riferimento. A seguire questa prassi, insomma, ci sarebbero ancora due leggi di bilancio per completare l’opera.

Ma l’ottica dei titolari delle buste paga, e dei sindacati che li rappresentano, è ovviamente opposta. È vero che per ministeriali, dipendenti del fisco e degli enti nazionali come Inps, Inail o Aci questo è un mese di picco retributivo, grazie al cedolino straordinario che in queste settimane porterà sul conto corrente l’una tantum degli arretrati per il contratto 2019/21 appena rinnovato, con un assegno fra i 1.400 e i 2.600 euro lordi a seconda della posizione economica (NT+ Enti locali & edilizia del 27 maggio). Ma si tratta appunto di aumenti ereditati dal passato, che offrono un’ottima difesa dall’inflazione di oggi ma certo non possono chiudere la questione.

Va però detto che in questi anni l’Ipca non è stato il Vangelo dei rinnovi contrattuali. Quello in corso, per esempio, determina aumenti pari a 2,3 volte l’inflazione del 2019/21.

I termini di un negoziato per costruire un nuovo indirizzo nella politica contrattuale del pubblico impiego dovranno partire da questo dare-avere, più complesso delle apparenze. E dovranno trovare una soluzione specifica anche per gli enti locali, dove gli aumenti in busta paga uniti al reclutamento extra per il Pnrr rischiano di gonfiare la spesa e far saltare definitivamente i parametri che guidano gli spazi per le assunzioni; proprio nel momento in cui il rinnovo del personale è cruciale.

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