Appalti

Semplificazioni, corsia veloce per autorizzare (solo) sette opere strategiche

Nel decreto approvato dal Governo iter in parallelo per accelerare i progetti di tre ferrovie, due opere idriche e due porti

di Mauro Salerno

Sarà limitata a sette opere strategiche l'idea sperimentale di far viaggiare in parallelo i percorsi di autrorizzazione delle opere pubbliche più complesse, anche attraverso la nascita di una task force di esperti in seno al Consiglio superiore dei lavori pubblici. Con il testo finale del decreto semplificazioni, approvato venerdì sera in Consiglio dei miistri, è stato svelato anche il contenuto dell'Allegato al decreto che elenca le infrastrutture di particolare complessità che potranno beneficiare del regime speciale. Chi pensava a un'appplicazione diffusa, o comunque più estesa, rimarrà deluso. L'elenco delle «opere pubbliche di particolare complessità o di rilevante impatto» è particolarmente contenuto: solo sette infrastrutture.

A viaggiare sulla corsia preferenziale disegnata ad hoc dal Dl semplificazioni saranno tre ferrovie, due opere idriche e due cantieri portuali. Per le ferrovie sono in ballo l'alta velocità della linea Palermo-Catania-Messina e quella della Salerno Reggio Calabria (insieme al collegamento con la linea ferroviaria con caratteristiche di alta velocità Battipaglia-Potenza- Taranto che porterebbero il totale a otto), con l'aggiunta del potenziamento della linea ferroviaria Verona-Brennero (opere di adduzione). Le opere idriche ammesse al nuovo regime sono le opere di derivazione della Diga di Campolattaro, per cui ha espresso soddisfazione il governatore della Regione Campania Vincenzo De Luca e la messa in sicurezza del sistema idrico del Peschiera nel Lazio. Quanto ai porti la novità riguardera gli interventi di potenziamento delle infrastrutture del Porto di Trieste (progetto Adriagateway) e la realizzazione della Diga foranea di Genova. Un'iniziativa fondamentale per lo sviluppo del porto ligure che, ha segnalato il presidente dell'Autorità portuale Paolo Emilio Signorini «senza semplificazioni avremmo potuto portare in cantiere non prima del 2027, mentre in questo modo saremo pronti per metà 2022».

Il nuovo regime: comitato speciale e iter in parallelo
La prima novità è l'idea di mettere a capo di tutto questo un «comitato speciale», una super-commissione da insediare presso il Consiglio superiore di lavori pubblici presieduta dal presidente dello stesso Consiglio (o da uno dei presidenti di sezione) e composta da 28 esperti tra cui un consigliere di Stato, un consigliere della Corte dei Conti e dell'avvocatura di Stato affiancati da sei dirigenti ministeriali, tre rappresentanti della Conferenza unificata, tre rappresentanti degli ordini professionali (ingegneri, architettti, geologi) e tredici docenti universitari «dichiara e acclarata competenza». La bozza quantifica già gli emolumenti da corrispondere ai partecipanti: l'indennità sarà uguale al 25% del «trattamento economico onnicomprensivo percepito dall'amministrazione di appartenenza» con un tetto massimo di 35mila euro all'anno.

Casella di partenza al «comitato speciale»
Al «comitato speciale» arriveranno i progetti di fattibilità tecnico-economica delle grandi opere previste in uno degli elenchi allegati al decreto. La bozza prevede tempi di reazione piuttosto brevi. Entro 15 giorni il comitato deve verificare se servono integrazioni o modifiche per concedere il via libera dandone immediata comunicazione alla stazione appaltante. In quel caso la Pa deve provvedere «entro 15 giorni dalla data di restituzione del progetto». Rientrato in possesso del progetto il Comitato speciale deve espirimersi nei successivi 20 giorni.
Se, invece, fin dall'inizio non ci sono richieste di correzioni il comitato deve concludere l'iter in un massimo di 30 giorni, tenendo conto che «decorsi tali termini il parere si intende reso in senso favorevole».

Archeologia, Via, conferenza di servizi: iter in parallelo
I 15 giorni concessi al «comitato speciale» per chiedere integrazioni o modifiche al progetto fanno da casella di partenza per la richiesta degli altri pareri. Una volta trascorso questo termine (oppure quello per la restituzione del progetto modificato da parte della Pa) è chiaro che il progetto non sarà più corretto dal «comitato speciale»: dunque possono partire le altre procedure. È la stazione appaltante che, trascorsi questi termini iniziali, deve trasmettere il progetto alla Sovrintendenza per la verifica dell'interesse archeologico, alle autorità competenti per la valutazione di impatto ambientale e deve convocare la Conferenza dei servizi per l'approvazione del progetto prevista dal codice appalti.

La bozza di decreto riduce da 60 a 45 giorni il termine massimo per la verifica di interesse archeologico che il codice appalti prevede per le grandi opere e precisa che la Conferenza di servizi che si svolge su questi progetti si deve tenere nella formula semplificata.
Altra importante novità è il rafforzamento degli effetti legati alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi. L'approvazione del progetto in questa sede «tiene luogo dei pareri, nulla osta e autorizzazioni necessari ai fini della localizzazione dell'opera, della conformità urbanistica e paesaggistica dell'intervento, della risoluzione delle interferenze e delle relative opere mitigatrici e compensative». Non solo. L'ottenimento del via libera «perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l'intesa tra Stato e regione in ordine alla localizzazione dell'opera, ha effetto di variante degli strumenti urbanistici vigenti e comprende il provvedimento di Via e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l'esercizio del progetto, recandone l'indicazione esplicita». Con quella variante possono scattare gli espropri e inoltre si impedisce al Comune di autorizzare nuovi interventi edilizi contrastanti con l'opera.

A Palazzo Chigi la soluzione dei dissensi
Dopo il passaggio in Conferenza di servizi il progetto torna al Comitato speciale per il parere definitivo. Solo nel caso di dissensi espressi in Conferenza di servizi che hanno portato a un'approvazione a maggioranza del progetto (invece che all'unanimità) scatta un ulteriore passaggio per tentare di trovare una «soluzione condivisa» che, in caso di flop, può portare fino all'intervento del Consiglio dei ministri, con una decisione immediatamente efficace e non sottoposta al vaglio della Corte dei Conti.

Senza intoppi la procedura dovrebbe concludersi in pochi mesi. Ma resta l'incognita del rispetto dei termini indicati dal decreto. Basta che solo alcuni di questi siano lasciati scadere senza conseguenze pratiche (effetti e sanzioni) che l'intero castello rischia - come in passato - di saltare.

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