Appalti

Delega appalti alla prova della stabilità: è l'ennesima riforma, si spera definitiva

INTERVENTO. Saliti da 29 a 31 i criteri cui dovrà attenersi il Governo nel riscrivere il codice dei contratti: spiccano l'assenza del Bim e gli scarni riferimenti alla digitalizzazione

di Pierluigi Piselli (*) e Stefano de Marinis (**)

La chiusura in Commissione, alla Camera, di un testo aggiornato del disegno di legge delega in materia di contratti pubblici offre lo spunto per alcune considerazioni, anche in rapporto ai rilevanti quesiti formulati in questi giorni in più di una sede di dibattito.

Il primo interrogativo, peraltro postosi allo stesso modo otto anni or sono, rispetto al previgente codice «de Lise», all'atto del recepimento delle attuali direttive comunitarie su appalti e concessioni, riguarda come intervenire sull'esistente tessuto normativo. Anche la formulazione più attuale della delega, infatti, non parla espressamente di un nuovo codice, ciò che prefigura almeno due opzioni: procedere per interpolazione all'interno di quello vigente, sottraendo ed aggiungendo quanto necessita anche in chiave di semplificazione, oppure adottarne uno nuovo.

A priori non può peraltro escludersi che entrambi gli approcci possano, infine, condurre a risultati, se non uguali, sostanzialmente analoghi. Molto, infatti, dipenderà dalla formulazione finale che assumerà la delega e da come verrà condotta la stesura delle relative norme attuative. In ogni caso non può sfuggire che, laddove l'obiettivo di breve periodo sia quello di evitare rallentamenti nella spesa pubblica, la stabilità normativa e tutte le scelte che ad essa più si avvicinano costituiscono, di per sé, un valore; ciò nella misura in cui, cosi facendo, si evitano, o si riducono, i tempi necessari ad impadronirsi dei nuovi meccanismi, sopratutto da parte delle stazioni appaltanti. In questo senso un intervento che rispetti il più possibile il quadro esistente, anche solo in termini di sistematica ed allocazione delle singole disposizioni, rappresenta un plus. D'altro canto, se l'integrazione europea può essere, mai come oggi, considerata un opportunità per rinnovare il Paese, occorre compiere definitivamente quel passo che da tempo ci viene richiesto e sollecitato, la cui necessità ancora in questi giorni risulta ribadita (vedi infra), nel senso di scrivere la nuova disciplina, anche in chiave Pnrr, con un approccio sostanzialistico, efficace nelle sue ricadute, abbandonando l'inefficiente formalismo che spesso caratterizza la nostra maniera di legiferare, soprattutto nel campo che qui interessa.

Senso pratico porterebbe a scegliere per un aggiustamento del codice esistente. Chi scrive, peraltro, è sempre stato contrario ad individuare nel decreto legislativo 50 la causa di tutte le difficoltà che incontra il Paese nel dar corso agli investimenti (nel "metterli a terra" come usa dire); nella stessa logica, non è neanche mancata occasione per sottolineare positivamente quei contenuti, ad esempio in tema di conflitti di interesse o di procedure innovative cosiddette flessibili, che costituiscono un obiettivo avvicinamento della disciplina nazionale a quella comunitaria.

Peraltro, nel momento in cui, tramite il Pnrr, il Governo ha assunto importanti impegni, pari a quelli in tema di concorrenza, per una nuova legge su appalti pubblici e concessioni che rechi anche l'accorpamento e la qualificazione delle stazioni appaltanti, le modifiche che pur operando solo all'interno del codice esistente ne deriveranno andranno comunque a frenare i processi spesa. In tal senso basta una modifica alla disciplina delle cause di esclusione per riaprire questioni interpretative sul come applicarla. Modifiche per modifiche, quindi, varrebbe forse la pena di sfruttare questa occasione per evitare di continuare ad essere oggetto di censure a livello comunitario e, allo stesso tempo, cogliere le opportunità offerte da un approccio legislativo finalmente in linea con regole proprie dei mercati maturi.

È di questi giorni l'ennesimo intervento della Corte di Giustizia (C 642/20), cui sopra s'è fatto cenno, avverso norme del codice: questa volta trattasi dell'articolo 83, comma 8, che assegna per legge all'impresa capogruppo un ruolo di necessaria preminenza nell'esecuzione dei contratti in caso di imprese riunite.

L'obiezione, che ripropone i termini di un confronto sul subappalto del tutto analogo, da poco e non senza fatica superato, da più di quaranta anni è sempre la stessa: riguarda gli automatismi delle formule legislative che disciplinano ex ante situazioni che, viceversa, nei paesi avanzati sono rimesse alle scelte delle stazioni appaltanti, in funzione della possibilità di individuare la soluzione più efficace rispetto alla situazione che volta per volta si pone. Per noi l'opzione sarebbe restituire fiducia a tutti gli attori del processo, bilanciandola con controlli ex post che, anche sfruttando le opportunità offerte dalla digitalizzazione dei processi, sarebbero senz'altro efficaci.

Altro quesito riguarda, poi, l'ambito oggettivo della nuova disciplina, cioè le parti di cui questa dovrà comporsi. Soprattutto nell'ipotesi in cui si scelga di operare dall'interno del codice attuale, le scelte in termini di contesti da coprire andrebbero confermate, inclusa la parte dell'esecuzione dei contratti, semmai, questa, da rafforzare. Ancora andrebbero unificate le parti che oggi distinguono, con problemi interpretativi di non poco conto, le concessioni dal partenariato pubblico privato. Alle stesse conclusioni in termini di mappatura del nuovo codice è possibile giungere anche nell'ipotesi di un testo sostanzialmente diverso, che applichi le vigenti direttive limitandosi a sciogliere quelle opzioni, peraltro non poche, che le stesse lasciano agli stati membri. È sufficente considerare, sul punto, come le medesime direttive disciplinino anche importanti aspetti della fase esecutiva, quali il subappalto e le modifiche contrattuali.

Resta da chiederci come le modifiche votate la scorsa settimana possano influenzare le riflessioni fin qui svolte.I criteri di delega passano da 29 a 31, essendo stati inseriti quello sul ruolo dell'Anac, le cui competenze in materia di contratti pubblici andrebbero revisionate per rafforzarne le funzioni di vigilanza sul settore e di supporto alle stazioni appaltanti, ed il divieto di prestazione gratuita delle attività professionali, elemento questo di portata generale non limitato al solo settore degli appalti pubblici e delle concessioni. Non siamo ai 70 della delega a base del codice vigente, ma neanche ai 4 a fondamento del «de Lise».

Tra le precisazioni apportate ai criteri già previsti, rileva quella secondo cui bandi di gara, avvisi ed inviti dovranno prevedere specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l'indicazione volta a consentire alle stazioni appaltanti di riservare il diritto di partecipare ad appalti e concessioni ad operatori economici il cui scopo principale sia l'integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate.

Sul tema assai attuale della revisione prezzi è da notare la precisazione per cui il sistema dovrà compensare anche gli aumenti rivenienti dal rinnovo dei Ccnl nazionali. Sul superamento delle disparità rileva la scelta di includere le persone svantaggiate tra le categorie rilevanti ai fini dell'inclusione lavorativa, attribuendo premialità nell'accesso al mercato e/o in sede di valorizzazione delle offerte, come peraltro già avvienre per le gare Pnrr; sul punto l'auspicio è che, qualsiasi sia la scelta finale, i decreti attuativi non cancellino le disposizioni in merito, opportnamente fin qui già emanate.

Relativamente ai temi che tuttora mancano nella delega, da notare è l'assenza di qualsiasi richiamo all'uso di metodi e strumenti di modellazione elettronica e informativa per l'edilizia e le infrastrutture (leggasi Bim), che viceversa compariva nella delega del 2016. Tale circostanza pare configurare un vero passo indietro rispetto al quale l'auspicio è, anche qui, che i decreti attuativi non cancellino le disposizioni nel frattempo emanate sul punto, semmai ne implementino la portata.

Scarne, infine, restano le indicazioni sulla digitalizzazione dei processi, sebbene le direttive rechino numerosi e precisi obblighi sull'argomento. Il riferimento è alle previsioni che nella delega parlano di digitalizzazione e informatizzazione delle (sole) procedure di gara, tramite la piena attuazione della Banca dati nazionale dei contratti pubblici, e di fascicolo virtuale dell'operatore economico, anch'esso in gestione all'Autorità in base al decreto semplificazioni 2021, opzioni peraltro indicate al (solo) fine di ridurre gli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti che partecipano alle procedure competitive.

Trattasi di un obiettivo in larga parte già acquisito dalla legislazione vigente e di minima rispetto a ciò che la digitalizzazione dell'intero procedimento realizzativo consentirebbe di ottenere, sia in termini di ottimizzazione di tempi di esecuzione e costi a vita intera degli interventi, sia, come sopra accennato, per il controllo ex post sull'operato di tutti gli attori del processo.

Conclusivamente, la più recente formulazione del disegno di legge delega non sembra aver di molto modificato la portata del testo già licenziato dal Senato. Alla condivisibile opzione di perseguire obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, si aggiungono numerose prescrizioni e caveat che sarà compito di chi verrà chiamato a scrivere le norme attuative di dipanare. Ciò per dare un volto finale a quella che, in ogni caso, costituirà l'ennesima riforma del settore. L'augurio è che si tratti di quella definitiva, considerato il valore che la stabilità, come detto, di per sé reca. Anche la Commissione, del resto, non pare intenzionata a rimetter mano, a breve, alle direttive vigenti.

(*) Founding partner Piselli & Partners;
(**) già vicepresidente Fiec, of counsel at Piselli & Partners

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