Il CommentoAmministratori

Sull'in house dei servizi locali il cortocircuito delle doppie regole

di Stefano Pozzoli

Uno dei temi di cui, nell'approssimarsi della discussione del Ddl concorrenza, si discute è come si concilino le previsioni del Codice degli Appalti sugli affidamenti diretti (articolo 192, comma 2) con quelle della normativa riferita ai servizi pubblici (articolo 34, comma 20 del Dl 179/2012). La questione non è banale per due ordini di considerazioni. La prima dipende dal fatto che il codice degli appalti viene interpretato da molta giurisprudenza nel senso che l'affidamento in house di servizi disponibili sul mercato è assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento. Per il Consiglio di Stato, infatti (sezione V, sentenza n. 1564 /2020), il primo presupposto per procedere ad affidamento diretto consiste nell'obbligo di motivare le ragioni che hanno comportato l'esclusione del ricorso al mercato, condizione che muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell'affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di un dimostrato «fallimento del mercato».

La seconda è che questa disposizione sembra stridere con la disposizione, di carattere speciale perché riguardante i soli servizi pubblici locali a rilevanza economica, del Dl 179/2012, per la quale «l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste».

È chiaro che, stante il fatto che entrambe le disposizioni sono in vigore, sarebbe paradossale pensare che per i servizi pubblici locali si debbano fare due "relazioni" con contenuto diverso: in base al Codice degli appalti, si tratta di dimostrare una "maggiore" convenienza rispetto al mercato, nella logica che l'in house sia appunto un fenomeno residuale, a cui si opta nel caso di non percorribilità delle altre opzioni. Per il Dl 179/2012, al contrario, l'in house è una delle modalità di gestione tra cui può liberamente scegliere il decisore pubblico, che deve motivare ogni scelta faccia, ed è dunque sufficiente che il servizio sia attribuito a una società mediamente efficiente. Dunque?

Dal nostro punto di vista, ferma la necessità di iscrizione nell'elenco Anac previsto dall'articolo 192, comma 1, nel caso dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, non siamo nel campo dei «servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza"» di cui parla il comma 2.

In questa lettura soccorre l'articolo 2 del Tusp, che al comma1, lettera h) definisce quali «"servizi di interesse generale", di cui i spl a rilevanza economica sono un sottoinsieme (cfr lett. I), le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza».