Amministratori

Via adempimenti, contabilità economica nei piccoli Comuni e ineleggibilità dei sindaci - L’agenda Anci per la riforma degli enti locali

di Gianni Trovati

Ripensare le competenze di sindaci e consigli comunali, tagliare in modo drastico la catena infinita degli adempimenti e rendere vivibile la gestione dei piccoli Comuni, senza dimenticare di mettere ordine nel groviglio delle incompatibilità e inconferibilità e di pulire il quadro dalle regole ormai superate dai fatti.
La legislatura fatica a partire, il dibattito politico continua a oscillare fra le proposte-bomba nelle «bozze di contratto di governo» e le ipotesi di «piani B» in caso di fallimento dei tentativi di alleanza fra Lega e Cinque Stelle. Ma la politica locale viaggia su un piano più operativo, e nella «Proposta di legge di iniziativa dei sindaci» presentata ieri mattina a Roma al termine del consiglio nazionale Anci chiede al governo che verrà, e soprattutto al Parlamento quando potrà iniziare a lavorare, offrono un’agenda a tutto campo delle questioni che interessano gli amministratori locali. Il tutto con l’auspicio, rilanciato dal presidente dell’Anci Antonio Decaro, della creazione di un «ministero delle Città» per dare ai sindaci un interlocutore unico.

Burocrazia zero
In 31 articoli divisi in sei titoli, che si aggiungono alle sette urgenze da affrontare subito denunciate dagli amministratori nelle audizioni sul Def (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 10 maggio), viene proposta nei fatti una riforma a tutto campo della vita amministrativa locale. È l’attacco alla “adempimentite” il cuore della proposta degli amministratori, che parte dal contrasto che oppone da un lato le tante spinte al Codice dell’amministrazione digitale e alla trasparenza tramite banche dati pubbliche, e dall’altro le infinite catene di richieste di dati “vecchia maniera” imposte dalle norme. Ogni Comune, lamentano i sindaci, è obbligato ad aggiornare e inviare informazioni fra le 100 e le 150 volte all’anno a diversi ministeri e autorità, deve sviluppare 50 adempimenti per approvare un bilancio di previsione ed effettuare 16 passaggi prima di assumere una persona. Da qui il drastico taglia-leggi proposto dagli amministratori locali, nel tentativo di tradurre in pratica il principio che impedisce a una Pa di chiedere direttamente dati e informazioni che ha già o che può ricavare da altri ministeri o da banche dati pubbliche. La falce dovrebbe poi abbattersi sui tetti di spesa di dettaglio, relativi a consulenze, pubblicità, formazione, acquisti, alcuni dei quali sono stati cancellati solo come «premio» agli enti che approvano i bilanci preventivi entro l’anno precedente all’esercizio finanziario di riferimento.

Piccoli Comuni
In proporzione, la malattia degli adempimenti colpisce in modo più pesante gli organismi fragili degli enti più piccoli, dove i pochi dipendenti presenti sono assorbiti da una burocrazia che toglie tempo alla gestione vera e propria e ai servizi ai cittadini. Da questa considerazione nasce il capitolo della proposta Anci che si traduce in una sorta di testo unico contabile per i Comuni fino a 5mila abitanti, che negli auspici degli amministratori locali dovrebbe abbandonare del tutto i tentativi di contabilità economico-patrimoniale per restare fedele al vecchio modello finanziario, considerato «totalmente idoneo e sufficiente per gestire l’attività di bilancio di un piccolo Comune». I piccoli enti dovrebbero anche evitare l’obbligo di Dup, al centro in queste settimane di un discusso tentativo di semplificazione (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa di ieri), dribblare gli adempimenti relativi al controllo di gestione e adottare un modello semplificato di piano dei conti integrato. Le regole su misura dei piccoli enti dovrebbero poi permettere l’affidamento senza gara del servizio di tesoreria, per cercare di superare la piaga dei bandi deserti, permettere a tutti un turn over pieno dei dipendenti in uscita e tracciare strade più semplici per i percorsi associativi.

Sindaci e consigli
Il capitolo iniziale del progetto di legge è invece dedicato direttamente ai sindaci, e nasce dalle tante esperienze recenti (a partire dal caso di Marta Vincenzi a Genova) si amministratori che hanno subito condanne anche gravi per responsabilità oggettive legate al loro ruolo ma difficili da ricondurre a loro effettive possibilità di intervento. Su queste basi, i primi cittadini chiedono di non doversi più occupare di atti, spesso ad alto contenuto tecnico, relativi a temi sui quali non hanno possibilità dirette di programmazione e di scelta: è il caso dei trattamenti sanitari obbligatori, degli ordini di sequestro di merci avariate, ma anche di tutti i casi in cui le scelte gestionali dei dirigenti ricadono sui sindaci sotto forma di responsabilità (come accade per esempio per il rilascio di una concessione di occupazione di suolo pubblico o con l’assegnazione di una causa a un avvocato esterno). Sul piano più strettamente politico, i sindaci chiedono di essere trattati come i presidenti di regione cancellando l’incandidabilità al Parlamento, con i meccanismi di decadenza e di commissariamento che comporta, che oggi frena chi guida un Comune con più di 20mila abitanti.

La proposta di legge di iniziativa dei sindaci

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