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Via libera a 7,2 miliardi ma per 4.363 Comuni i fondi si riducono

Risorse in più per 2.202 enti. Il governo distribuisce le quote 2023 con il «no» dei sindaci per il mancato stop ai mini-tagli rispetto al 2022

di Gianni Trovati

Nel linguaggio ostico della contabilità pubblica è la «perequazione orizzontale». Nella pratica è il meccanismo che divide i Comuni in “ricchi”, che dai loro tributi ricavano più della media in rapporto al fabbisogno di spesa per i servizi, e “poveri”, che sono nella situazione opposta, e chiede ai primi di trasferire risorse ai secondi. Nella politica è il sistema chiamato a separare il finanziamento dei Comuni dalla spesa storica per collegarlo ai «fabbisogni standard», cioè al costo efficiente delle attività locali.

Tutto questo esiste da otto anni, ma solo ora comincia a farsi sentire al punto che nella Conferenza Stato-Città di ieri, dove si è deciso anche il rinvio al 31 maggio del termine per la chiusura dei preventivi degli enti locali (Nt+ Enti locali & edilizia di ieri), dopo serrato confronto con i Comuni il governo ha deciso di procedere alla distribuzione dei fondi 2023 anche senza l’intesa con i sindaci ( tabelle). Il mancato accordo ha fin qui fermato la ripartizione di 7,16 miliardi tra quota base del fondo di solidarietà (2,35 miliardi), rimborso di Imu e Tasi sull’abitazione principale (3,82 miliardi), compensazioni parziali per la spending review scaduta ormai cinque anni fa (380 milioni) e aumento dei fondi per i servizi sociali. La macchina ora parte senza il tradizionale accordo con gli amministratori.

Ma che cosa ha acceso la miccia intorno a un impianto che sonnecchiava da anni nelle tabelle degli addetti ai lavori? Semplice: la sua applicazione fin qui è stata molto lenta, anche grazie alle trattative annuali fra sindaci e Mef, e non ha fatto perdere un euro a nessun Comune.

La stessa tranquillità non si ripete quest’anno per due ragioni: la quota distribuita in base alla perequazione cresce al 65% del fondo di base (quindi quasi 1,53 miliardi, lasciando ai criteri “storici” 822 milioni), e non è accompagnata dal paracadute che finora ha evitato tagli dei fondi. Perché quando la coperta complessiva rimane la stessa, se qualcuno riceve più di prima altri avranno di meno. Nei calcoli del Mef, nel primo gruppo ci sono 2.202 enti, nel secondo 4.363 (la questione esclude Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia).

In valori assoluti le riduzioni non sono drammatiche (Napoli, tra le città più colpite, perde 2,3 milioni su 326) perché non possono superare il 4% e la stessa Anci ha calcolato che 36 milioni sarebbero bastati a evitare problemi. Ma il valore politico della questione è molto più alto, perché  la novità arriva in tempi di inflazione alle stelle (ieri la Stato-Città ha dato il via libera anche al decreto che assegna agli enti i 400 milioni della manovra per le bollette) e soprattutto perché la quota della perequazione è destinata ad aumentare di anno in anno. E se cade il principio che evita le perdite ai singoli enti, spiegano i sindaci, i tagli ai Comuni colpiti cresceranno.

Ma «l’obiettivo principale è superare il criterio della spesa storica in favore del più corretto criterio basato su fabbisogni standard e capacità fiscale», ribatte dal Mef la sottosegretaria Sandra Savino, che ha la delega alla finanza locale. Nella speculare ottica del governo, gli enti che si vedono ridotti i fondi perdono un «ingiusto vantaggio» determinato dal fatto che «godevano di risorse storiche maggiori e/o di capacità fiscali maggiori».

I sindaci aggiungono che per far quadrare i conti la perequazione deve essere anche «verticale», cioè pagata dallo Stato. Il Mef risponde che la perequazione verticale esiste, con i fondi per asili nido e welfare. La Corte costituzionale chiede di cancellare il vincolo di destinazione che lede l’autonomia finanziaria dei sindaci. E il cantiere della finanza locale continua a essere, come sempre, aperto.