Urbanistica

Stadio Roma, curatore di Eurnova o sostituto per salvare il progetto Tor di Valle

di Manuela Perrone

Un curatore della società Eurnova nominato dal tribunale al posto di Luca Parnasi, se l’inchiesta dovesse prevedere il sequestro di quote societarie. Oppure semplicemente un suo sostituto, scelto attraverso consultazioni interne che dovrebbero partire già oggi, in grado di prendere le redini dell’azienda e provare a portare comunque avanti un progetto incagliato dal 2014 che era vicinissimo a un passo dal decollo. Sono queste le due strade alternative su cui punta chi vuole salvare il nuovo stadio della Roma, dopo la tempesta dell’operazione Rinascimento. Vie che servirebbero a individuare subito un nuovo interlocutore e a non buttare via il bambino dell’arena di Tor Di Valle - che vale un investimento di 1,3 miliardi (di cui 900 milioni dalla As Roma) - con l’acqua sporca delle ombre di corruzione. Sostenendo la tesi che non ci sarebbero atti procedurali viziati, ma soltanto eventuali responsabilità personali, peraltro limitate al proprietario dei terreni che non ha nulla a che fare con la costruzione dello stadio e del polo circostante. In caso contrario, il progetto sarebbe congelato.

Il più amareggiato è ovviamente il presidente del club giallorosso, James Pallotta, che anche ieri ha incontrato il direttore generale Mauro Baldissoni per concordare la strategia prima di lasciare la città. Strategia chiarissima: non c’è alcun motivo, secondo i vertici della squadra (estranea all’inchiesta, come ha subito precisato il pm Paolo Ielo), per bloccare l’iter del progetto. Nessuna ragione per cui, senza nuovi sviluppi, dovrebbe arenarsi la variante urbanistica che l’assemblea capitolina contava di licenziare entro luglio per poter permettere l’avvio dei cantieri tra fine 2018 e inizio 2019. Perché l’obiettivo di Pallotta era quello di veder nascere l’arena da 55mila posti ad agosto 2020, trasformando l’area, con il museo Hall of Fame e il “convivium”, nel centro di intrattenimento più grande del Sud Europa. Capace di far registrare al club +100% di ricavi da stadio e almeno 8 milioni l’anno dalle iniziative commerciali a latere.

Pallotta ieri ha scelto di non minacciare l’addio alla Roma, come aveva lasciato intendere a caldo mercoledì («È stato bello passare del tempo qui»). Ha vinto la linea di chi, a Trigoria, non vuole mollare. Ma tutti sono consapevoli degli ostacoli. A partire dalla situazione di nuovo incandescente in Campidoglio. Non è un caso che la sindaca Virginia Raggi sia stata molto più cauta. «Che fine farà lo stadio? Non lo sappiamo», ha risposto ieri a Porta a Porta, dove è stata mandata al posto di Luigi Di Maio, che ha disertato. «Gli atti della procedura - ha spiegato Raggi - sembrano tutti validi. Noi ci riserviamo di fare tutti gli approfondimenti del caso. Se non ci sono irregolarità a mio avviso si potrà andare avanti».

Il Movimento 5 Stelle è scottato dall’arresto di Luca Lanzalone, l’avvocato genovese caro a Beppe Grillo e a Davide Casaleggio che dopo aver seguito il dossier stadio come consulente di fatto, senza incarichi formali, era stato «premiato» (parole di Di Maio, che hanno suscitato la protesta del Pd) con la presidenza di Acea. Lanzalone ha lasciato ieri il timone della multiutility. Ma la bufera giudiziaria altera i già delicati equilibri politici interni al M5S. Con Raggi costretta a contrattaccare parlando di «accanimento mediatico» nei suoi confronti e a precisare che «il Comune, i romani e As Roma sono la parte lesa». E con l’ala storicamente contraria allo stadio (e ai professionisti “calati” dall’alto dai vertici) che riprende vigore, complice l’autosospensione del capogruppo Paolo Ferrara, indagato.

È questo che adesso fa tremare i fautori dell’opera. La verifica delle eventuali irregolarità sull’iter procedurale potrebbe rallentare il percorso fino a bloccarlo. E l’inchiesta potrebbe generare a latere nuovi intoppi. Il ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, indicato proprio dal M5S, ha già autorizzato un’ispezione ministeriale.

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