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Speciale Manovra/6 - Alle pensioni 2019 760 milioni non spesi per Ape e precoci

C’è una minore spesa di 760 milioni, rispetto al previsto, su due canali di flessibilità pensionistica attivati nel 2017: l’Ape sociale e il pensionamento con 41 anni di contributi per i lavoratori precoci. Ed è proprio grazie a questo margine di bilancio che il governo accompagnerà il debutto di “quota 100” senza chiudere le due misure. Come ha spiegato ieri il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, per i precoci (un anno di impiego prima dei 19 anni di età) oggi disoccupati o con un’invalidità civile o un carico familiare, viene confermato il requisito dei 41 anni di contributi con l’aggiunta di una finestra di tre mesi, il che significa un risparmio di due mesi rispetto allo scatto previsto per il 2019. E ci sarà pure la proroga dell’Ape sociale.

Nel Rendiconto sociale pubblicato ieri dal Consiglio di indirizzo e vigilanza Inps è dedicato un approfondimento proprio sulle flessibilità introdotte negli ultimi due anni e sul Reddito di inclusione. Si apprende che sono rimasti inutilizzati il 75,9% dei fondi per il pensionamento anticipato dei precoci, mentre per l’Ape sociale nel 2017 sono stati spesi 170 milioni (sui 300 previsti), e quest’anno ci si dovrebbe fermare attorno ai 180. Secondo gli ultimi dati sono state accolte 33.623 domande per l’Ape sociale (durata media 42 mesi di anticipo, con un assegno medio di 1.250 uro al mese), mentre i precoci con domanda di pensionamento accolta sono stati 24.129 nel biennio. Nel documento si parla di «risorse residue che possono consentire una proroga», ipotesi evocata nel corso del suo intervento di presentazione al Senato anche dal presidente del Civ, Guglielmo Loy, il quale ha affrontato il tema della sostenibilità del sistema previdenziale a fronte delle «spinte» che arrivano da molte persone che, «trovandosi in condizioni soggettive particolari, premono per un anticipo del pensionamento». Tra i molti dati messi in rilievo nel Rendiconto spicca il gender gap pensionistico, visto il numero significativo di donne che si ritirano con la vecchiaia e con un assegno mediamente più basso degli uomini. Durigon ha confermato l’impegno anche per la proroga di “opzione donna” per un altro anno spiegando che non è ancora deciso se le misure arriveranno con un emendamento nella discussione al Senato o con un decreto legge. L’anno prossimo si potrà andare in pensione anticipata, indipendentemente dall’età, con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi le donne), senza che scatti per queste pensioni l’incremento di cinque mesi dell’aspettativa di vita che era previsto, mentre per la nuova anzianità «non ci sarà alcun paletto che sposti in avanti “quota 100”. Chi avrà 62 anni di età e 38 di contributi l’anno prossimo potrà andare in pensione» ha ribadito Durigon, spiegando che la misura varrà per il prossimo triennio come ponte per arrivare poi a “quota 41” per tutti. Per i lavoratori privati la finestra per “quota 100” sarà di tre mesi, per i pubblici la finestra dovrebbe essere di sei mesi ma si ragiona sulla possibilità che sia di nove, con la prima uscita a settembre. Se i requisiti si raggiungono durante il 2019 si dovranno comunque aspettare tre mesi (sei o nove per i pubblici).

Il governo confida in un’adesione inferiore al 100% degli aventi diritto alla nuova anzianità anche in virtù del divieto di cumulo pensione/reddito da lavoro fino a 5 anni oltre i 5mila euro. E, dunque, su una minore spesa rispetto ai 6,7 miliardi del primo anno e i 7 del secondo, esattamente com’è accaduto, in minore, per le flessibilità varate la scorsa legislatura. «Quota 100 e il reddito di cittadinanza entreranno in vigore all’inizio dell’anno» hanno dichiarato di nuovo, ieri, i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, mentre il taglio alle pensioni cosiddette d’oro, ha aggiunto il leader dei Cinquestelle, «sarà inserito in legge di Bilancio al Senato».

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