I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Tutela e gestione delle acque, difesa del suolo e assetto idrogeologico

di Luigi Conti

Acque reflue – Scarico dei reflui in corpo ricettore – Attualità dell’attività produttiva che produce il refluo - Acque reflue industriali – Obblighi – Nozione di scarico – Irrilevanza.

 «Ai fini della integrazione del reato disciplinato dall’art. 137, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, non è rilevante l’attualità dell’attività produttiva (nel caso di specie, reflui di un’azienda vinicola scaricati durante la vendemmia), in quanto è presupposto sufficiente l’esistenza di un sistema di collettamento che stabilmente colleghi, senza soluzione di continuità, il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali. Pertanto, è irrilevante che l’attività produttiva sia o meno attiva nel momento in cui viene effettuato il controllo, e che non vi fosse sversamento di reflui all'interno della fognatura, essendo sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, anche lo scarico periodico o discontinuo».

Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, 3 novembre 2021, n. 39351 Rel. Scarcella

 

Massime 

«Ai fini della integrazione del reato di cui agli artt. 124, comma primo, e 137, comma primo, del D.Lgs. n. 152 del 2006, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse in un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, dovendosi escludere dalla nozione di scarico contenuta nella lett. ff) dell'art. 74, comma primo, dello stesso decreto il solo rilascio di reflui che non comporti alcun contatto fisico tra il refluo e tale corpo ricettore

Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, 16 maggio 2017, n. 24118 Rel. Saligari

«In tema di inquinamento idrico l'assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue industriali alle acque reflue domestiche è subordinata alla dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie».

Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, 7 agosto 2017, n. 38946 Rel. Ramacci

«In tema di autorizzazione allo scarico, grava sull'imputato l'onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni normative che consentono l'applicabilità di deroghe al regime ordinario che richiede il titolo autorizzatorio, pena la violazione dell'art. 137, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152”

Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, 2 ottobre 2013, n. 40761 Rel. Grillo

«Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo»

Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, 6 aprile 2016, n. 13681 Rel. Blaiotta

 

Commento

Con la Sentenza in esame, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dal titolare di un’azienda vitivinicola avverso la sentenza del Tribunale che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 137, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, per scarichi di reflui non autorizzati. Nello specifico, il ricorrente ha affermato che con la Sentenza impugnata non era stato svolto alcun accertamento in ordine all'effettivo collegamento tra il pozzetto di raccolta dei reflui, ubicato all'interno dell'azienda vinicola, ed il suolo o la pubblica fognatura, e che, conseguentemente, non poteva in alcun modo ritenersi integrato il reato contestato e ciò per mancanza di prova in ordine all'esistenza di un effettivo scarico ai sensi dell'art. 74, comma 1, lett. ff) D.Igs. 152/2006.
Inoltre, il ricorrente lamentava che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. sulla base di due elementi: l’abitualità della condotta contestata e l’idoneità della stessa a realizzare un pericolo per l’ambiente di non lieve entità. Entrambi tali elementi, secondo il ricorrente, non sarebbero stati valutati su basi oggettive, ma in esito a una mera supposizione del giudice; anche l’affermazione giudiziale in ordine alla potenziale idoneità della condotta del ricorrente a realizzare un pericolo per l’ambiente di non lieve entità era apodittica ed illogica in considerazione del fatto che lo stesso giudice aveva escluso l’aggravante di cui al comma 2, art. 137, TUA, contestando dunque all’imputato una violazione di natura formale (mancata previa richiesta di autorizzazione),e che la ritenuta non assimilabilità dei reflui dell’azienda a quelli domestici era stata dedotta dal superamento di due soli parametri rispetto ai quelli previsti dalla normativa regionale.
La Cassazione ha respinto il ricorso, richiamando in primo luogo la giurisprudenza di legittimità, la quale aveva già chiarito che ai fini della integrazione del reato di cui agli artt. 124, comma primo, e 137, comma primo, del D.Lgs. n. 152 del 2006, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse in un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, dovendosi escludere dalla nozione di scarico contenuta nella lett. ff) dell'art. 74, comma primo, dello stesso decreto il solo rilascio di reflui che non comporti alcun contatto fisico tra il refluo e tale corpo ricettore.
La Suprema Corte, inoltre, ha chiarito che la sentenza impugnata aveva dimostrato, sulla base delle risultanze istruttorie, la presenza, all’interno dei pozzetti fognari, di acque derivanti dalla produzione vinicola esercitata dall’azienda di cui il ricorrente era legale rappresentante all’epoca dei fatti: la pronuncia impugnata, infatti, aveva dato atto che le acque reflue, all'atto del controllo, permanevano all'interno dei pozzetti fognari che, per comune esperienza, sono funzionali proprio a favorire il deflusso nella reta fognaria e che, d’altronde, non appariva nemmeno verosimile che il ricorrente avesse smaltito con modalità diverse i reflui derivanti necessariamente dall’attività di vendemmia, non avendo offerto prova di ciò.
Del tutto irrilevante, inoltre, era la circostanza che, al momento del controllo effettuato, i macchinari non risultassero in funzione e che non vi fosse sversamento di reflui all’interno della fognatura, in quanto era sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, anche lo scarico periodico o discontinuo, quale ragionevolmente doveva ritenersi quello effettuato dal ricorrente nel corso dell’attività vinicola, risultando irrilevante che l’attività produttiva fosse o meno attiva all’atto del sopralluogo.
La Suprema Corte, quindi, ha ritenuto infondate le doglianze del ricorrente oltre che vietate in sede di legittimità perché dirette a richiedere una valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito.
Pertanto, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicata la disciplina in tema di tutela delle acque (ritenendo sussistere uno "scarico" tecnicamente qualificabile come tale), anche considerando l'ulteriore dato logico, costituito dalla presenza stessa del "pozzetto d'ispezione", la cui realizzazione è, non a caso, imposta dalla legge per consentire alle autorità di controllo le verifiche sulla rispondenza del sistema di canalizzazione alle prescrizioni di legge in tema di tutela delle acque dall'inquinamento.
La Corte di Cassazione ha ritenuto privo di pregio anche il motivo, con cui si contestava l’esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis, c.p., in quanto la condotta del ricorrente non integrava i presupposti di cui all’art. 131 bis, c.p., poiché era risultato che il ricorrente avesse svolto attività di produzione vinicola anche nel 2016, anno precedente l’accertamento, facendo presumibilmente utilizzo dello scarico realizzato, con conseguente permanere dell’esposizione a pericolo del bene giuridico ambiente, di per sé non lieve tenuto conto dei componenti inquinanti riscontrati nelle acque reflue analizzate e della potenzialità della condotta a realizzare uno sversamento nella rete fognaria per un tempo non ragionevolmente prevedibile.
Secondo la Cassazione, infine, la motivazione del giudice non era illogica nella parte in cui, pur avendo escluso l’ipotesi aggravata di cui al comma 2, dell’art. 137, D.Lgs. n. 152/2006, non aveva riconosciuto la particolare tenuità del fatto oggetto di contestazione. L’esclusione dell’ipotesi aggravata di cui al comma 2, infatti, non comportava automaticamente un giudizio di tenuità del fatto.
Inoltre, il discostamento dei valori di COD(02) e BOD5(02) rispetto a quelli limite fissati dalla normativa regionale, risultava effettivamente considerevole: il parametro BOD5(02), infatti, era risultato presente in percentuale pari a 660 mg/I a fronte di un parametro massimo di cui alla L.R. Sicilia di 300 mg/l ed il parametro COD (02) è risultato presente in percentuale pari a 1549 mg/l a fronte di un limite massimo pari a 600 mg/l.
Pertanto, la Corte di Cassazione ha affermato che il primo giudice, coerentemente alle emergenze processuali e conformemente alla giurisprudenza in materia, avesse operato quella valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che lo avevano, con motivazione immune da vizi, condotto a ritenere il fatto non meritevole dell’applicazione della speciale causa di non punibilità.

 

  Riferimenti normativi

Direttiva 2000/60/CE

D.lgs. 152 del 2006 (e s.m.i.), artt. 74, 113, 133 e 137

Art. 131 bis c.p.