Amministratori

Azione di indebito arricchimento contro la Pa, anche se l'ente non riconosce l'utilità della prestazione ricevuta

L'ente pubblico potrà al più provare che l'arricchimento non è stato voluto o consapevole

di Michele Nico

Nell'azione di ingiustificato arricchimento promossa da un terzo contro la Pubblica amministrazione, il riconoscimento del vantaggio ottenuto dall'ente non è requisito pregiudiziale al buon esito dell'azione intrapresa. Di conseguenza, il depauperato che agisce in base all'articolo 2041 del codice civile ha soltanto l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento senza che la Pa possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, e l'ente pubblico per tutelarsi potrà al più eccepire (e provare) che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di «arricchimento imposto». È quanto ha affermato la Corte di cassazione, Sezione Lavoro, con l'ordinanza n. 22902/2022.
Tenuto conto di ciò, ai fini dell'accoglimento della domanda del terzo l'accertamento del vantaggio arrecato alla Pa dalla prestazione ricevuta resta svincolato dalla valutazione discrezionale dell'ente ed è rimesso in via esclusiva all'apprezzamento del giudice di merito, che si limiterà a verificare se la Pa abbia riconosciuto l'arricchimento, ovvero se sia stata consapevole della prestazione indebita e nulla abbia fatto per respingerla.

Il caso
Sulla base di questi principi la Suprema Corte ha annullato la sentenza con cui la Corte d'Appello di Napoli, in linea con la decisione del tribunale, aveva respinto l'azione di ingiustificato arricchimento da parte di un architetto contro la locale Università degli studi, afferente la pretesa al pagamento di 124 mila euro per l'attività didattica da lui svolta a favore dell'ateneo nel lungo periodo dall'anno accademico 1993/1994 all'anno accademico 2005/2006. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di cui sopra aveva rigettato il ricorso muovendo dal presupposto che la valutazione dell'utilitas da parte dell'arricchito, quale requisito dell'azione di indebito arricchimento, fosse riservata agli organi rappresentativi dell'ente, come a suo tempo affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 25156/2008. Di qui la conclusione dei giudici partenopei, secondo cui in assenza di un siffatto riconoscimento da parte dell'ateneo non poteva essere preso in considerazione il "risparmio di spesa" dell'istituto a fronte dell'attività svolta dall'appellante, stante l'asserita mancanza di prove e dei correlativi supporti documentali.

Il riconoscimento dell'utilitas
Nel vagliare la questione la Sezione Lavoro si è discostata dalla tesi sopra esposta, facendo leva sulla ben diversa pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 10798/2015. Il collegio ha sostenuto che il riconoscimento dell'utilità da parte dell'arricchito non costituisce requisito essenziale dell'azione di indebito arricchimento, di modo che «il depauperato che agisce ex articolo 2041 del codice civile nei confronti della Pa ha solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso». Con la pronuncia in esame i giudici della Suprema Corte hanno poi motivato la posizione assunta scrivendo che «il riconoscimento di utilità, quale requisito indispensabile, altro non è se non un retaggio di una tradizione di privilegio in favore degli enti pubblici, essendo illogico condizionare la decisione del giudice sul fatto obiettivo dell'arricchimento alla valutazione che ne faccia l'arricchito medesimo».

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