Fisco e contabilità

Le antenne della telefonia su suolo disponibile non sono soggette al Cup ma a canoni liberi

I chiarimenti di Ifel sulla disciplina degli impianti su patrimonio disponibile e indisponibile

di Pasquale Mirto

Ifel, con la nota del 12 dicembre, fornisce interessanti chiarimenti in merito al regime da applicare per le antenne di telefonia mobile che insistono su suoli comunali iscritti nel patrimonio disponibile dell'ente. Per queste si renderebbe applicabile il canone di locazione convenzionalmente contrattato e non il Cup pari ad 800 euro.

Come noto, con l'articolo 1, comma 831-bis, della legge 160/2019 è stato introdotto il canone fisso di 800 euro per ogni impianto, canone non modificabile dal Comune. Siccome la nuova disposizione introdotta dal Dl 77/2021 è stata inserita all'interno della disciplina del Cup, il quale si applica per le occupazioni realizzate su aree facenti parte del demanio o del patrimonio indisponibile, i Comuni hanno continuato a pretendere i canoni di locazioni liberamente contrattati per le antenne che insistono sulle aree che fanno parte del patrimonio disponibile. Di contro, le società occupanti hanno smesso di pagare i canoni di locazione ritenendo che la sola presenza dell'antenna attribuisse al terreno la qualifica di bene indisponibile, come tale soggetto alla modesta cifra di 800 euro, contro le decine di migliaia di euro normalmente pagate.

Nella nota Ifel evidenzia come il preteso automatismo, peraltro collegato alla supposta natura di pubblico servizio degli impianti di telecomunicazione, non appare coerente né con il quadro normativo vigente, né con la giurisprudenza consolidatasi in materia, secondo la quale, affinché un'area rientrante nel patrimonio disponibile assuma carattere pubblico di bene patrimoniale indisponibile è necessario soddisfare un doppio requisito soggettivo-oggettivo (Cassazione, Sezioni unite, nn. 13664/2019 e 4430/2014). In particolare, la prima sentenza precisa che, affinché un bene sia iscritto nell'inventario dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio in base all'articolo 826 del codice civile, occorre il rispetto del doppio requisito, soggettivo (ovvero la manifestazione di volontà dell'ente, risultante da atto amministrativo) ed oggettivo (ovvero la effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio).

Pertanto, in difetto di tali condizioni, per le sezioni Unite «la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del nomen iuris che le parti contraenti hanno inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione».

Queste argomentazioni hanno già trovato l'avvallo della giurisprudenza, e in particolare della Corte di appello di Venezia, che con sentenza n. 2311/2022 ha confermato l'obbligo per le società di continuare a pagare il canone di locazione convenzionalmente pattuito e non il Cup.

Anche con riferimento alle antenne che insistono sui beni demaniali o indisponibili, Ifel ricorda che l'articolo 54 del Dlgs 259/2003, in forza del quale i Comuni non possono imporre oneri o canoni ulteriori rispetto al Cup, si rende applicabile solo per i rapporti sorti successivamente alla modifica normativa. Si richiama, sul punto, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3467/2020, nella quale è stato chiarito che la ratio di tale previsione è quello di porre un «limite al potere impositivo unilaterale degli enti territoriali», mentre non incide in alcun modo «su canoni pattuiti convenzionalmente nell'ambito di concessioni-contratto aventi ad oggetto beni demaniali o patrimoniali indisponibili», che devono pertanto continuare a ritenersi dovuti. Pertanto, conclude Ifel, i canoni pattuiti prima del 13 febbraio 2019 (data di entrata in vigore della nuova disposizione) rimangono dovuti, mentre a decorrere da tale data i Comuni non possono più prevedere oneri aggiuntivi oltre all'obolo Cup di 800 euro.

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