Appalti

Giovannini: «Il codice appalti sarà migliorato, non azzerato. Fatta buona riforma insieme al Parlamento»

Il ministro esalta «il metodo del dialogo: eravamo partiti da posizioni distanti, arriviamo a una legge delega condivisa»

di Giorgio Santilli

Dal Senato esce confermato l’impianto di riforma degli appalti proposto dal Governo. Un anno fa si discuteva di azzeramento del codice appalti o, al contrario, di non fare nulla. Noi invece confermiamo il Codice, introducendo elementi innovativi di riforma. Diventano patrimonio del Codice anche le norme inserite in via sperimentale nel Pnrr come il ruolo centrale del progetto di fattibilità tecnica ed economica, la premialità per l’assunzione di giovani e donne, la sostenibilità delle opere come regola generale. D’altra parte, il record di 41 miliardi di aggiudicazioni nel 2021 e la continua crescita dei bandi di gara ci dicono chiaramente che il sistema si è ormai adattato al Codice e cambiarlo radicalmente determinerebbe un nuovo blocco, proprio nel momento in cui il Governo ha deciso di investire sul futuro del Paese. Sono soddisfatto del testo e anche che a questo risultato abbiano contribuito tutte le forze della maggioranza». Il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, incassa il successo della riforma degli appalti varata con la convergenza di tutta la maggioranza. E rilancia sulla rigenerazione urbana. «Dobbiamo rilanciare – dice - lo sviluppo sostenibile delle nostre città: non chiediamo fondi aggiuntivi rispetto a quelli, ingenti, del Pnrr, ma la riforma delle regole che ci consentano di spenderli bene e nei tempi giusti».

Ministro Giovannini, dietro il risultato sulla riforma degli appalti c’è un metodo politico?

Il metodo del dialogo, partendo da un forte disegno riformista. Senza ricorrere al voto di fiducia, aggiungo. Un segnale di collaborazione fra Governo e Parlamento che risponde allo scetticismo, molto presente nel nostro dibattito politico, sulla possibilità di trovare una sintesi efficace tra forze politiche che partono da posizioni molto diverse. Questo metodo consentirà alla Camera di fare una seconda lettura senza blindare il testo ed eventualmente una terza lettura rapida al Senato. Lo dico sapendo che abbiamo apportato tanti miglioramenti e ormai non c’è molto altro da aggiungere.

Quali sono gli emendamenti approvati che più la soddisfano?

Il rafforzamento dei criteri minimi ambientali (Cam) come elemento condizionante anche nelle gare, il rafforzamento dei meccanismi che consentono di adeguare i prezzi alle condizioni di mercato e far fronte a emergenze sui costi, il rafforzamento della tutela del lavoro, della sicurezza dei lavoratori e della legalità e trasparenza dei contratti.

È d’accordo sul fatto che il Codice lo riscriva il Consiglio di Stato e non il ministro delle Infrastrutture?

La scelta di attribuire al Consiglio di Stato la redazione del testo non determina una sottrazione di competenze o funzioni. Il Ministero, insieme alle altre istituzioni, sarà parte attiva del procedimento fornendo tutto il supporto necessario.

Sul Pnrr state rispettando i tempi?

Le riforme che abbiamo fatto nel 2021, talvolta in anticipo rispetto agli impegni assunti, erano strumentali rispetto agli investimenti che stiamo facendo. Questo approccio vale, come dicevo, non solo per gli appalti, ma anche per il settore idrico o per lo sviluppo dei porti. C’è una logica in questa sequenza semplificazioni-riforme. Sperimentiamo misure che poi possiamo portare a regime se hanno funzionato.

E per gli investimenti siete nei tempi giusti?

Vedo un impegno straordinario delle stazioni appaltanti nel procedere alla messa a punto dei progetti di fattibilità tecnica-economica, soprattutto per le opere che devono seguire la procedura speciale Pnrr. Il dibattito pubblico si sta svolgendo nei tempi previsti, dimostrando una grande partecipazione e l’utilità di questo strumento di confronto. Rfi sta predisponendo i nuovi bandi per le opere ferroviarie. Oggi abbiamo pubblicato il bando da 900 milioni per il settore idrico. C’è una velocizzazione in atto da parte di tutti i soggetti chiamati in causa e, nel nostro caso, abbiamo un sistema di monitoraggio che funziona molto bene e ci consente di intervenire all’istante se intravediamo il rischio di un ritardo. Ovviamente, pesa la situazione internazionale, con la guerra, la scarsità di materie prime, l’inflazione, che sta creando e creerà difficoltà nell’attuazione del Pnrr. Queste criticità, che avranno anche gli altri Paesi, possono essere risolte all’interno delle regole già definite dalla Ue. Inoltre, il ministro Franco ha già dato una disponibilità a integrare con fondi nazionali là dove fosse necessario.

È all’orizzonte un confronto con la Commissione europea per modificare il Pnrr?

Non c’è ancora nessuna azione concreta, ogni ministero sta facendo le sue valutazioni. Ma voglio dire con chiarezza che non è in discussione l’impianto del Pnrr. Anzi, le scelte fondamentali che abbiamo fatto vengono rafforzate dallo scenario attuale. La transizione ecologica e digitale e la riduzione delle disuguaglianze restano i pilastri di questo Piano, anche rispetto alle scelte di politica energetica. Il governo lavora al nuovo piano energetico e le decisioni prese a suo tempo, come il potenziamento delle energie rinnovabili e l’accelerazione della trasformazione ecologica, vanno nella direzione giusta di aumentare la nostra autonomia strategica. Devono semmai essere rafforzate, accelerate ancora. E abbiamo bisogno di un passo ulteriore verso l’unità europea perché la Ue sta facendo molto, anche in termini di finanziamenti agli investimenti per la trasformazione ecologica, ma la domanda che arriva dai cittadini è di maggiore coesione e rapidità di decisione a livello europeo. Come abbiamo fatto per la Salute con il Covid, ora dobbiamo rafforzare l’unione economica, l’unione bancaria, l’unione energetica, il sostegno ai più deboli. Si prende spesso a modello il federalismo Usa, ma si dimentica che il bilancio federale americano non era così ampio in origine, è cresciuto nel tempo proprio per dare risposte migliori alle crisi.

Cosa risponde a chi dice, soprattutto nel mondo delle imprese, che la transizione ecologica è troppo rapida e rischia di mettere fuori gioco il nostro sistema produttivo?

Le imprese più dinamiche hanno capito che bisogna accelerare, non rallentare, sugli obiettivi della sostenibilità e del cambiamento climatico. Lo ha capito il mondo della finanza, tantissime imprese, anche le amministrazioni pubbliche. Il sindaco di una grande città mi ha ringraziato perché gli abbiamo bocciato due progetti che erano devastanti sul piano ambientale, non portavano soluzioni innovative sulla mobilità e avevano un costo eccessivo. Tornando alle imprese, dobbiamo creare opportunità anche concrete perché questo cambiamento vada nella direzione giusta.

Ci fa un esempio?

L’automotive è un settore cruciale, Stellantis ha annunciato che l’elettrico è l’unica soluzione, anche Il Sole 24 Ore racconta belle storie di imprese della componentistica che passano dalla meccanica all’elettronica. Ma l’automotive non è solo auto. La nostra filiera deve cogliere le grandi opportunità nel settore dei veicoli pesanti. Il Pnrr finanzia il rinnovo del parco autobus a basse emissioni, stanzia 300 milioni che il Mise sta orientando proprio al rafforzamento della nostra filiera per gli autobus, Trenitalia ha ordinato 110 nuovi treni ibridi per i servizi regionali, per i Tir i produttori stanno valutando opzioni per il passaggio all’elettrico o all’idrogeno. Queste sono le opportunità da cogliere per rafforzare la produzione italiana.

Cosa vi siete detti con il ministro Franco dopo lo stop della Ragioneria al disegno di legge sulla rigenerazione urbana? È riuscito a superare l’impasse?

Ho incontrato il ministro Franco per parlare di varie questioni, non solo di rigenerazione urbana. E ho spiegato che il timore della Ragioneria che stessimo chiedendo fondi aggiuntivi non è fondato. Il faticoso compromesso raggiunto sul testo, anche in questo caso grazie al lavoro con tutte le forze di maggioranza e con gli stakeholder, serve piuttosto ad ammodernare le regole per reindirizzare i fondi che abbiamo già, nazionali e del Pnrr, agli obiettivi che vogliamo raggiungere: riqualificazione edilizia, certo, ma anche un ripensamento dei nostri quartieri alla luce dei nuovi modelli di lavoro e di socialità, la diffusione di tecniche edilizie sostenibili, più spazio ai privati che vogliano investire. Tutto questo sempre nel rispetto del valore culturale dei nostri centri storici. Se non facciamo questa riforma della regolazione, che non a caso trova d’accordo anche Ance e Assoimmobiliare Confindustria, rischiamo che i fondi restino bloccati e i progetti non siano all’altezza. Per altro, la riforma che immagino comprende il testo sulla rigenerazione urbana ma anche la riforma urbanistica per cui ho istituito una commissione che a breve dovrebbe presentare una proposta.

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