Amministratori

Finanziamenti pubblici, danno erariale se la messa in liquidazione della società impedisce il rispetto delle condizioni

di Giuseppe Nucci

La sentenza n. 25 /2018 della Corte dei Conti, seconda sezione centrale di appello, riguarda un’ipotesi di danno erariale, relativo ad un finanziamento regionale, per effetto del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati a causa della messa in liquidazione della società. 

Il finanziamento regionale
Una società, dopo aver ottenuto un finanziamento regionale per il “miglioramento della competitività dei sistemi agricoli ed agroindustriali in un contesto di filiera”, veniva posta in liquidazione cessando la sua attività.
La procura erariale citava l’amministratore unico della società per il mancato raggiungimento degli obiettivi “di miglioramento” nonché per la violazione dell’obbligo previsto dal finanziamento di non sottrarre i beni mobili ed immobili allo scopo produttivo per cui era stato concesso il finanziamento (consegne di frutta) per un periodo, rispettivamente, di cinque e dieci giorni dal collaudo.
Il giudice di prime cure accoglieva la richiesta dell’organo requirente sostanzialmente perché la società era stata messa in liquidazione prima del termine minimo previsto dal finanziamento (cinque anni), così impedendo la realizzazione dello scopo alla base del finanziamento stesso.
L’amministratore unico, condannato al pagamento di euro 1.250.000,00, interponeva appello che, però, veniva rigettato.

La sentenza
Il Giudice di appello, nel confermare integralmente la sentenza, evidenziava che l’addebito non riguardava né il mancato raggiungimento del livello di produzione, né l’idoneità astratta del beneficiario a conseguire gli obiettivi dati (perché altrimenti non si sarebbe disposta neppure la concessione dell’incentivo), ma il venir meno delle condizioni standard del finanziamento, laddove la società ha cessato l’attività e i beni acquisiti con il finanziamento sono rimasti inutilizzati ben prima che trascorresse il tempo prefissato.
Aggiungeva il Collegio che, quindi, doveva attribuirsi alla scelta tipicamente discrezionale di liquidare la società (decisione cui l’amministratore non si era opposto con l’assertività e la forza che i poteri gestori e gli impegni assunti avrebbero consentito e richiesto) – senza peraltro prevedere misure di salvaguardia degli investimenti - la perdita della finalità pubblica perseguita dal contributo e, conseguentemente, la responsabilità amministrativo-contabile dell’amministratore unico. 

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