Personale

Contratto, arriva l’atto di indirizzo-bis: a ordinamenti e accessorio 130 milioni

Ultime limature al documento necessario per la fase finale dell’intesa sul 2019/2021

di Gianni Trovati

Dovrebbe arrivare fra questa settimana e la prossima l’atto di indirizzo che guiderà nel contratto delle Funzioni locali l’impiego delle risorse per la riforma degli ordinamenti professionali e per lo sblocco dei fondi decentrati.

In gioco c’è l’applicazione locale di quello che la manovra ha previsto e finanziato per le Funzioni centrali: per far partire i nuovi ordinamenti, e costruire l’architettura che culmina nell’area delle «elevate professionalità», andrà destinato il 5,5 per mille della massa salariale, mentre allo scongelamento dei fondi per il salario accessorio andrà il 2,2 per mille.

Tradotto in euro, per i 430mila dipendenti del comparto si tratta di poco meno di 130 milioni all’anno, divisi fra gli ordinamenti (95 milioni) e i fondi decentrati, che nel complesso potranno aggiungere circa 30-35 milioni al limite attuale. L’atto di indirizzo è necessario a far entrare la trattativa nella fase finale, che però non si annuncia brevissima anche per l’arrivo delle elezioni delle Rsu il 5-7 aprile.

Non sono cifre enormi. Ma si aggiungono a un rinnovo contrattuale che per il comparto vale 774 milioni di spesa in più all’anno, e circa 1,2 miliardi di arretrati da saldare nella prima busta paga utile dopo la firma definitiva. I Comuni e le Unioni assorbono poco meno dell’80% di questa spesa, il 12% è a carico delle Regioni e Città metropolitane e Province si dividono l’altro 8% (6% le Province e 2% le Città).

Per i dipendenti, il rinnovo del contratto 2019/21 prospetta un aumento medio da 118 euro lordi, divisi fra i 100 delle voci di base e i 18 portati dai finanziamenti aggiuntivi per ordinamenti e fondi decentrati (come anticipato da NT+ Enti locali 6 edilizia del 9 marzo).

Per i bilanci locali, la conseguenza è invece un carico aggiuntivo di spesa fissa che interviene in un contesto già tirato dalle botte del caro-energia (i 250 milioni del fondo per i servizi essenziali messi a disposizione dall’ultimo decreto energia offrono un palliativo reso ancora più leggero dalla crisi esplosa con la guerra in Ucraina) e dalle spinte alle assunzioni a tempo determinato per il Pnrr. Perché è vero che l’apertura del governo è stata massima, e ha cambiato drasticamente di segno l’orientamento sulle assunzioni. Ma è vero altrettanto che negli enti locali tutte queste novità sono a carico dei bilanci. E, per quanto riguarda il contratto, incidono sui parametri che regolano il reclutamento in base al rapporto fra la spesa di personale e le entrate stabili.

Questo ha fatto tornare d’attualità il problema dell’impatto dei rinnovi contrattuali sui calcoli della «virtuosità», e quindi sulle possibilità assunzionali di ogni ente. Sindaci e presidenti di Provincia e Regione sono tornati nelle scorse settimane a sollevare la questione in una lettera al ministro dell’Economia Daniele Franco e al titolare della Pa Renato Brunetta. Ma l’esclusione delle spese dei rinnovi dai parametri non è alle viste, dopo la deroga ampia appena introdotta per i contratti a termine del Pnrr. In prospettiva è però difficile non vedere la contraddizione fra rinnovi contrattuali che dovrebbero tornare regolari, assunzioni in crescita per compensare un decennio di stasi e una struttura delle entrate che ha margini di crescita minimi. Un problema, questo, che va oltre i criteri di calcolo degli spazi assunzionali e punta dritto alla sostenibilità sostanziale dei bilanci.

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