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Comuni, via libera a 7,17 miliardi di fondi ma per 3.800 enti mini-tagli rispetto al 2022

La Commissione tecnica approva la ripartizione senza l’ok dei sindaci

di Gianni Trovati

Assume una forma definitiva la geografia dei fondi 2023 ai Comuni, ma senza l’assenso dei diretti interessati.

Ieri la commissione tecnica per i fabbisogni standard ha approvato la Nota metodologica e la distribuzione ente per ente del fondo di solidarietà comunale: testi e tabelle passano ora alla Conferenza Stato-Città per il via libera politico. Criteri e numeri arrivano dopo un fitto confronto tecnico, che però non è riuscito a superare le obiezioni dei Comuni. Perché 3.800 enti, cioè circa il 52% dei municipi delle Regioni a Statuto ordinario e di Sicilia e Sardegna, vedranno una riduzione di risorse rispetto all’anno scorso. Niente di drammatico, perché le oscillazioni non possono superare il 4%, ma nell’ottica dei sindaci molto di preoccupante per due ragioni: il taglio è ovviamente in valore nominale, e si aggiunge quindi all’effetto di un’inflazione che nei calcoli Istat supera nel cumulato 2022-23 il 17%, ed è destinato ad approfondirsi in futuro perché è generato dal meccanismo della «perequazione» che progressivamente vede crescere il proprio peso di anno in anno. I sindaci, in pratica, con il loro «no» hanno voluto anche lanciare un allarme per il futuro, legato al fatto che la finanza locale a numeri invariati rischia di aprire falle profonde nei prossimi anni. «Il Governo continuerà a lavorare per garantire tutto il sostegno necessario ai cittadini e alle istituzioni locali - fa sapere la sottosegretaria all’Economia Sandra Savino (Fi), che ha la delega alla finanza locale - ma sarebbe stato impensabile bloccare il fondo di solidarietà comunale in un momento così difficile per il Paese». Di qui la decisione di procedere comunque che, sottolinea Savino, «è stata presa in accordo con il ministro Giorgetti».

Fin qui la sostanza politica della querelle, che come sempre accade quando si parla di conti comunali va ricercata facendosi largo in un mare di variabili tecniche.

Il problema riguarda la quota base del fondo di solidarietà, alimentata dalle risorse che i Comuni più ricchi sul piano fiscale trasferiscono a quelli meno dotati. Questa quota vale ora 2,35 miliardi, ed è distribuita per il 65% tramite appunto la «perequazione» fra ricchi e poveri (in base alla distanza fra la capacità fiscale, cioè il gettito potenziale dei tributi del territorio, e i fabbisogni standard per le funzioni fondamentali) e per il resto in base alla spesa storica. La parte «perequata» aumenta di anno in anno (era il 60% nel 2022) e cambia la distribuzione delle risorse, determinando in una parte degli enti perdite che fin qui erano state compensate da integrazioni al fondo. Non quest’anno.

La dimensione complessiva di questi mini-tagli, si diceva, non è enorme in termini nominali, perché potrebbe essere “sanata” con un finanziamento extra da 36 milioni. Ma è solo il primo passo, perché la perequazione cresce di anno in anno e secondo le stime degli enti locali richiederebbe 600 milioni nel 2025-2030.

Su questa base si innestano poi le parti più tranquille del finanziamento ai Comuni, rappresentate prima di tutto dai ristori fissi per l’addio all’Imu/Tasi sull’abitazione principale (3,82 miliardi), dalle compensazioni (ancora parziali) per la spending review scaduta ormai cinque anni fa (380 milioni) e dall’aumento dei fondi per i servizi sociali (299,9 milioni). Il totale porta la cifra distribuita a 7,17 miliardi. Ma nonostante tutto, comunque, qualcuno ci perde: per esempio Napoli, la città destinataria della somma più alta, che vede passare l’assegno dai 326 milioni dell’anno scorso ai 323,7 di quest’anno.

Sempre ieri la commissione tecnica ha approvato, questa volta all’unanimità, la distribuzione dei fondi extra per gli asili nido (175 milioni) e il trasporto scolastico degli alunni disabili (49,9 milioni). Voci legate a specifici obiettivi di servizio, che quindi sono assorbite dall’incremento di posti nei nidi e di corse degli scuolabus e quindi non aumentano le disponibilità generali dei bilanci comunali.